Dal fortino del Senato il contrattacco alla crisi

RomaLa ragione è tecnica, ma il risultato è il risveglio da un sonno durato più di tre anni. Il Senato torna protagonista della politica dopo un interminabile periodo di quiete. Dovuto, si sottolinea a palazzo Madama, al protagonismo del presidente della Camera Fini, all’ossessione dei riflettori sui dissidi nella maggioranza che, da quando è iniziata la legislatura, riguardano Montecitorio, e non certo la pacifica convivenza della Camera meno a rischio.
Ma adesso è qui la scena, è Palazzo Madama il laboratorio, la fucina della manovra economica per il pareggio di bilancio. E in questi giorni di fantaipotesi e di prime certezze sulle correzioni da apportare al decreto, si registra un grande assente. Gianfranco Fini, appunto. In questa partita lui è fuori, non è il dominus del palcoscenico. Sarà invece il presidente del Senato Renato Schifani a dover pacificare e gestire uno dei passaggi più delicati della seconda Repubblica.
A Palazzo Madama ancora si devono abituare. Basti pensare che alla seduta dell’altro giorno erano in undici a sedere sugli scranni, una vergogna nazionale. Ma i giochi veri partiranno la prossima settimana, martedì dalla commissione Affari Costituzionali, e poi fino a settembre. I riflettori si sposteranno su corso Rinascimento, il Senato si prepara a tornare quel luogo delle notizie che era stato per due anni durante l’incerto governo Prodi. In quel periodo, dal 2006 al 2008, non si parlava d’altro: lo scarto tra maggioranza e minoranza era sempre una scommessa, una pipì poteva valere una fiducia mancata all’esecutivo. Tutti i senatori a vita venivano convocati come giocatori infortunati per una finale del campionato del mondo. Sempre ai calci di rigore. Il Senato era uno spettacolo.
Poi è arrivata la stagione di Fini alla Camera. E per una scontata legge del giornalismo il Senato ha fatto meno notizia, anche perché qui la maggioranza è sempre stata solida.
La ragione di questa ritrovata ribalta è appunto tecnica. La manovra di luglio partì dal Senato e per ragioni di continuità è necessario mantenere i temi economici in questa sede. Una gestione diretta dell’economia che proseguirà anche a settembre: dal Senato partirà la discussione sul disegno di legge di stabilità.
In un luogo dove la diatriba è meno accesa, dove i pasradan sono più saggi e meno su di giri, per la prima volta si potrà lavorare a temi fondamentali con un tentativo di mediazione. Schifani non rivestirà propriamente il ruolo del grande mediatore, ma certo non sarà il presidente «della campanella», si racconta nel palazzo. Non si limiterà insomma a presiedere le sedute, ma certamente sarà punto di raccordo, anche tra Senato e Quirinale, con cui la seconda carica dello Stato ha da sempre un rapporto di sintonia.
Anche in commissione Affari Costituzionali, la prima sede dove si affronterà la manovra, ci sono politici dialoganti, da una parte come dall’altra. Un ruolo chiave nelle trattative sotterranee e nelle intese potrebbero rivestirlo dunque da Andrea Pastore del Pdl, Enzo Bianco del Pd, ma anche Luigi Zanda, sempre del Pd, i presidenti Carlo Vizzini (Affari Costituzionali) e Antonio Azzollini (Bilancio).

E per il Pdl, sarà importante il ruolo del presidente del gruppo Maurizio Gasparri e del vice Gaetano Quagliariello. Il grande sonno è terminato. C’è da vedere ora se la Camera alta saprà essere davvero un «pensatoio», dopo un triennio di apatia.

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