Entrambi sempre così avanti rispetto al proprio partito da ritrovarsi alla fine da soli, Gianfranco Fini e Walter Veltroni, due compagni perfettini, non hanno solo in comune l’aria da primo della classe che pur di prendere il voto più alto ti passa il compito sbagliato, ma anche un accidentato percorso ideologico alle spalle che li ha portati - senza stupire chi li conosce bene - su posizioni politiche del tutto sovrapponibili. Si trovassero, stasera, di fronte in un talk-show televisivo, non ci sarebbe alcun contraddittorio. Passerebbero il tempo a darsi ragione su tutto: i diritti degli immigrati, le coppie di fatto, la pillola abortiva, la rivalutazione del Sessantotto, il Fascismo come male assoluto, l’amore per l’Africa, il valore altamente simbolico del 25 Aprile, la necessità sempre più urgente di una reale alternativa a Silvio Berlusconi. A ben pensarci, una noia.
Accomunati dalla convinzione che la politica è anche saper cambiare idea, e che semmai la difficoltà è cercare di spiegarlo a chi ti ha sempre dato i voti, Fini e Veltroni sono oggi due esponenti simmetrici, doppi e bifronti, della stessa arte di governo: quella dei buoni sentimenti, della linea morbida, della moderazione, del benaltrismo. Del dialogo soprattutto. Ma tra di loro, non con la gente. Quello lo fanno i populisti, o i leghisti.
Figli di due totalitarismi opposti dai quali hanno ereditato la medesima capacità di gestire il potere, hanno fatto così tante svolte nella loro vita da ritrovarsi sempre allo stesso identico posto. Seduti su una poltrona, istituzionale di solito. Politici politicanti, hanno il dono innato della dialettica. Scettici rispetto alla politica del «fare», preferendo non sporcarsi mai le mani, credono piuttosto in quella del «dire». Cose buone e giuste. Cose sulle quali sono sempre pronti a cambiare idea, peraltro.
Hanno entrambi rinnegato il proprio passato, vivono entrambi un presente di attesa, si stanno preparando entrambi al futuro. Un futuro di libertà, ovviamente.
Alti, allampanati, giacche Coin, sempre con la montatura degli occhiali sbagliata, blanditi dalla stessa identica stampa e circondati da uno scodinzolante manipolo di intellettuali, ormai ogni giorno di più diventa difficile distinguerli. Guardano al superamento degli schemi ideologici del Novecento, proseguono sempre più nel loro percorso di revisione dei valori della destra o della sinistra - è uguale - prendono uguali posizioni sui temi etici, economici, religiosi, culturali, politici in genere. Si dice che ormai leggano anche gli stessi fumetti, che quelli di Farefuturo si scambiano con i compagni della Fondazione Democratica. Celo, celo... manca! Una penna cattiva del giornalismo una volta ha scritto che Fini e Veltroni sono le figurine Panini della politica italiana. Dietro gli occhiali, come disse uno che li conosce bene, il nulla.
Divisi soltanto da tre anni d’età e uniti dalla stessa inclinazione alla metamorfosi, tendono entrambi a dare consigli non richiesti, non accettano lezioni di laicità da nessuno, si rammaricano di non avere il dono della fede pur dicendosi rispettosi dei valori cristiani ma lontani da ogni clericalismo, condividono più di una qualità caratteriale, a partire dall’ostinazione e la mancanza di fantasia, e - tipico di chi ha scritto più libri di quanti ne abbia letti - subiscono pesantemente il fascino degli uomini di cultura. Alta. Ma anche bassa. Anzi, dovendo parlare al popolo per dare l’impressione di farne parte, soprattutto quella bassa. I film di Alvaro Vitali, la musica leggera, i cartoni animati, i romanzi di Federico Moccia, Vasco Rossi, le figurine Panini, il cinema di genere americano, le canzoni di Giorgio Gaber, tutto l’armamentario post-ideologico con il quale una volta Veltroni riempiva l’ufficio marketing dell’Unità o i suoi libri - scritti o prefati, è uguale - e che oggi gli sherpa-intellettuali di Fini postano sul sito di Farefuturo o scaricano nelle pagine del Secolo d’Italia. Con il fastidioso corollario - caratteristico di chi non ha studiato a fondo la cultura pop - di finire per esaltarne gli aspetti più deleteri. Uno che conoscesse davvero la commedia sexy di Bombolo e Nadia Cassini non si sognerebbe mai di farne l’apologia. Direbbe semplicemente che quel cinema aveva degli aspetti «socialmente interessanti», al massimo. E la stessa cosa, per passare dal veltronismo al finismo, vale per Bob Marley, ad esempio. Comunque, pur di far parlare di sé ogni giorno, si è disposti ad occuparsi di tutto un pop.
A pensarci bene è curioso. Fini e Veltroni non sono soltanto appiattiti, oggi, sulle medesime posizioni socio-politiche. Ma anche il punto di partenza, ieri, è stato lo stesso. Simbolicamente. Entrambi, giovanissimi, hanno iniziato a fare politica a causa della guerra del Vietnam. Il primo, come è noto, decise di entrare nell’Msi quando, anno di scarsa grazia 1968, gli fu impedito da ragazzotti di sinistra, una sera, di entrare in un cinema in cui si programmava Berretti verdi. Il secondo, come è meno noto, nel ’67 iniziò a frequentare la sezione romana della Fgci organizzando collette per il Vietnam. Quel giorno uno decise di stare dalla parte degli yankee, l’altro giurò fedeltà alla causa di Ho Chi Minh. Oggi si scambiano le videocassette di John Wayne. Una sera vanno a vederle a casa di Sandro Veronesi, l’altra di Filippo Rossi. Alla domenica, invece, stadio Olimpico e poi le repliche di Happy days. Come diceva Fonzie: «Ehiii...!!!».
Abituati ultimamente a raccogliere nel Paese ogni tipo di consenso - civile, culturale, istituzionale - tranne che politico, i due gemelli eterozigoti nati nella prima Repubblica, cresciuti nella Seconda e che indubbiamente ci ritroveremo invecchiati nella Terza, hanno dimostrato nella loro lunga carriera le medesime due cose. Di non essere tagliati per il ruolo di leader unico. E di essere dei perfetti numeri due. Facile che di qui a poco fondino un partito assieme.
E sarà un nuovo partito: libertario, laico, riformatore, naturalmente democratico. E soprattutto capace di fare dell’eclettismo e del trasversalismo culturali una bandiera da innalzare con forza contro i musi illividiti del potere berlusconiano.
Qualcuno che li vota, lo trovano di sicuro.