Il governo, che è dov'è perché ha vinto regolari elezioni, sta cercando di far ripartire in Italia la produzione di energia elettronucleare. Lo aveva nel programma; e quel programma è stato approvato dalla maggioranza degli italiani nel momento stesso in cui questa ha voluto a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi.
A dire il vero, sul punto specifico anche una buona parte dell'opposizione è a favore. Lo è certamente Casini, che più di una volta si è espresso in tal senso. E così si sono espressi alcuni pezzi da novanta del neonato Fli. Avrei voluto poter aggiungere Gianfranco Fini, ma su di lui non potrei metterci la mano sul fuoco: fino ad alcuni mesi fa era pro-nucleare, oggi chissà cos'è e domani chissà cosa sarà. Infine, una nutrita schiera di scienziati vicini al Pd (alcuni dei quali parlamentari o senatori, attuali o trascorsi, della sinistra) ha recentemente fatto pervenire al segretario Bersani una lettera dai toni decisamente «berlusconiani»: «Dobbiamo mettere una pietra tombale sugli errori del passato e riavviare il nucleare», hanno scritto. Bersani a costoro non ha neanche risposto. Probabilmente perché una parte dei suoi la vede diversamente. Sicuramente perché non ha gli zebedei per imporsi su costoro.
Insomma, sul tema, il Paese e il Palazzo starebbero a fatica rinsavendo: abbiamo necessità di garantire ai nostri figli e nipoti la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, e questa sicurezza non l'avranno senza avere impianti nucleari in casa. Punto.
Da questo clima, tutto sommato abbastanza «normale», potrebbe uscire, alla fine, un Paese più moderno e che avrà saputo correggere gli errori del passato e pensare alle future generazioni. Se non fosse per il fatto che v'è una mina che vaga per il Paese e cui del Paese poco importa. Essa va dove la porta il cuore, e il cuore di mina ha un solo fremente anelito: esplodere. Così, per il puro gusto di far danno. Né la si può biasimare: è una mina, appunto. E far danno sul nucleare è un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Questo è Antonio Di Pietro: una mina vagante.
Per affermare la propria natura, la nostra mina ha raccolto le firme per un referendum abrogativo delle norme che ha approntato il governo per il riavvio del nucleare e a cui la Corte costituzionale ha dato il via libera. Mi chiedo dove viva quest'uomo. Nel 1987, sull’onda emotiva del disastro di Chernobyl, ci fu un referendum che non fu - né, a norma di Costituzione, poteva essere - contro il nucleare, ma che tale fu interpretato dai politici di allora, che assomigliavano moltissimo ai Bersani di oggi: senza zebedei. Abbandonammo il nucleare, ma non vi rinunciammo: ne facemmo un altro bene d'importazione. Nessuno avrebbe oggi il coraggio di sostenere che non fu un errore. Per dire: è da allora che paghiamo alla Francia più di un reattore nucleare l'anno in importazione d'energia elettrica; detto diversamente, un quarto del parco nucleare francese l'abbiamo pagato noi italiani. I Paesi che hanno votato analogo referendum sono tornati sui propri passi. Lo votò la Svezia nel 1980, quando aveva 11 reattori nucleari: i reattori svedesi oggi in esercizio sono 10, uno ogni milione di abitanti. Lo votò la Svizzera, nel 2003, ma lo bocciò. Anzi, la Svizzera intende costruire 3 nuovi reattori, in modo da averne, anch'essa, uno ogni milione di abitanti. La Germania, che 10 anni fa, coi Verdi al governo, decise di chiudere i propri reattori nucleari, non solo non ne ha chiuso neanche uno, ma ha di recente esteso di altri 15 anni la vita di quelli in esercizio. Dei 63 reattori nucleari oggi in costruzione nel mondo, 14 sono in Europa e 27 in Cina.
Ripeto la domanda: dove vive
Di Pietro? La nostra mina vagante. Probabilmente farà flop anziché bum, ma un po' di scompiglio lo avrà creato, e già solo di questo ne sarà soddisfatta. E soddisfatta vagherà per altri mari in cerca di fare altri danni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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