Forza con la riforma, l’università affonda

Può ancora stupirsi sulla bassa qualità dell’istruzione pubblica italiana chi non ha figli, nipoti o altri consanguinei che vanno a scuola. Dunque, pochissime persone. L’Italia non si merita questa realtà: è un’emergenza per la quale sarebbe necessario un Bertolaso della situazione per salvare il salvabile e procedere alla ricostruzione.
Il ministro Gelmini ci aveva fatto promesse, ma ci siamo ritrovati con i grembiulini obbligatori e i voti in condotta. Nella scuola è cambiato poco o niente, nell’università niente. Il presidente del Consiglio è comprensibilmente attento alle classifiche: dia uno sguardo alla graduatoria stilata dal Times in cui non c’è un’università italiana tra le prime 173 al mondo. Eppure, non siamo nel G8? Non siamo tra le potenze più sviluppate del pianeta? Come è possibile essere così in cima nelle classifiche degli Stati e avere un sistema universitario che neppure ci invidia l’Uganda?
È chiaro che la nostra scuola è disastrata come un Paese dell’Abruzzo dal terremoto: qualche bel palazzo è ancora in piedi, per fortuna, molto è in rovina e ha bisogno di essere ricostruito.
Certo, è comprensibile che il ministro Gelmini non immaginasse quello che avrebbe trovato entrando nel palazzo di viale Trastevere, sede del ministero della Pubblica istruzione, ma i molti che lavorano nella scuola, i molti che mandano i propri figli a scuola e, coscienziosamente, li seguono, sapevano quale fosse la realtà della nostra istruzione.
Ci vuole coraggio riformatore per passare dalle parole ai fatti. I segnali del degrado morale e amministrativo che arrivano dal mondo accademico non sono pochi e non sono difficili da interpretare. Per incominciare, il ministro aveva stilato una graduatoria delle università, da una parte quelle virtuose, dall’altra quelle che non hanno i conti in regola. Alle prime verranno dati i quattrini, mentre le altre se ne staranno in quarantena. Principio sacrosanto, ma sbagliati i criteri con cui si è provveduto alla selezione.
Tra i mali per nulla oscuri dell’università ci sono i concorsi con cui si reclutano i docenti: sul modo indecente, nepotistico e clientelare con cui si svolgono abbiamo dato e ripresentato prove e testimonianze; abbiamo segnalato docenti che si sono rifiutati di giudicare candidati e progetti scientifici per le troppe pressioni e raccomandazioni; abbiamo spiegato perché i cervelli emigrano e perché altri cervelli purtroppo rimangono. Recentemente su queste pagine ho documentato come molti concorsi siano prestabiliti, ritagliati su candidati già individuati prima ancora che incominciasse il concorso stesso.
Senza modificare praticamente nulla, il ministro ha dato il via ai concorsi che in molti casi si svolgeranno senza una reale graduatoria di merito tra i candidati, con la solita e consolidata impudenza.
Sono note a tutti le componenti del mondo accademico che si oppongono a una vera riforma dell’università. Innanzitutto va cambiata la struttura di gestione: oggi a capo c’è un rettore, un docente eletto dai docenti. È ovvio che in questa autoreferenzialità, il rettore non sarà mai in grado di controllare la produttività e la qualità della sua università perché non ha la sufficiente autonomia per andare a verificare, ed eventualmente smantellare, gli interessi del suo potente collega che controlla un pacchetto di voti con cui lo ha eletto.
È necessario un consiglio d’amministrazione dell’ateneo presieduto e composto in maggioranza da figure esterne all’università che possano chiedere conto ai presidi delle Facoltà quale sia il livello qualitativo della didattica e della ricerca svolte, sanzionando chi non ha raggiunto risultati scientificamente ed economicamente accettabili
Ci sono poi da riformare le modalità di accesso alle università attraverso un diverso rapporto con gli studi affrontati nella scuola media superiore, perché i test d’ingresso sono prevalentemente delle burle. Si deve riformare lo stato giuridico dei docenti e dei ricercatori per poter finalmente verificare la loro produttività. Si devono cancellare università inutili nate dal più indecoroso clientelismo, si deve rivedere il meccanismo che regola le lauree brevi e le lauree specialistiche perché, invece di essersi abbassata (come supponeva l’ingenuo legislatore) si è alzata l’età dei laureati che, sempre stando alle statistiche, sono molto pochi.

Ci sarebbe da abolire il valore legale del titolo di studio: ma questo è un tabù che forse verrà infranto nel quarto millennio e, quindi, è tempo sprecato metterci mano. Poi c’è da riformare il Cnr... Coraggio e tanti auguri.

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