Le forzature dell’ex Presidente

Francesco Damato

Può darsi, per carità, che la riduzione dei parlamentari stabilita dalla riforma costituzionale sulla quale stiamo per pronunciarci con il referendum appaia insufficiente a molti italiani, i quali desidererebbero un taglio più consistente. Ma scendere, fra deputati e senatori elettivi, da 945 a 770 sarebbe pur sempre un bel risultato. È di quasi il 20 per cento una riduzione di 112 deputati su 630 e di 63 senatori su 315. Liquidare questo aspetto della riforma come qualcosa di «penoso, marginale e demagogico», che sono gli aggettivi usati nei comizi e nelle interviste di questi giorni da Oscar Luigi Scalfaro, presidente del comitato promotore e perciò uomo immagine del referendum, mi sembra un po’ disonesto.
Dio solo sa quanto mi costi scrivere così di una persona che ho molto stimato sino al giorno della sua elezione a presidente della Repubblica, quattordici anni fa, quando mi piace ancora credere che il vero Scalfaro, quello per tanto tempo conosciuto e un po’ anche frequentato tra congressi democristiani e uffici parlamentari e governativi, sia stato sequestrato da una misteriosa banda e sostituito con un sosia.
Che, avvoltosi nella carta costituzionale come in una bandiera per difenderla notte e giorno da chi vorrebbe strapparla o sporcarla, mi dà spesso l’impressione di scivolarvi come un cefalo, peraltro dimentico delle forzature - per non dire altro - compiute durante il suo mandato presidenziale. Per esempio, quando estese all’allora capo della procura di Milano le consultazioni di rito per la formazione di un nuovo governo, il primo peraltro del suo settennato.
O quando, su richiesta di quello stesso magistrato avanzata con un proclama televisivo, negò la firma ad un decreto legge che il governo aveva varato concordandolo articolo per articolo e minuto per minuto con il Quirinale in una lunghissima seduta della quale esistono testimonianze chiarissime. O quando conferì l’incarico di presidente del Consiglio a Berlusconi, nella primavera del 1994, prescrivendogli in una lettera scelte programmatiche di competenza esclusiva del governo e del parlamento. O quando, caduto prematuramente quel governo nato dall’esordio di una legge elettorale maggioritaria, negò lo scioglimento anticipato delle Camere per disporlo solo nei termini e nei tempi chiesti dalla sinistra, che se ne avvantaggiò.
Potrei continuare ancora, ma mi giocherei quel po’ di spazio che mi rimane, e che vorrei invece adoperare per osservare come Scalfaro sia stato contraddetto dai suoi stessi sostenitori nel tentativo di liquidare come penosa e marginale demagogia la riduzione dei seggi parlamentari.
Prodi e Rutelli hanno ritenuto la questione talmente seria da promettere che la sinistra, se riuscirà a spazzare via la riforma del centrodestra, deciderà una riduzione maggiore e la farà scattare già nel 2011 anziché nel 2016. Che è il termine previsto dalla legge sottoposta alla verifica referendaria nel caso, mi sembra ormai improbabile, in cui questa legislatura e quella successiva durassero regolarmente cinque anni ciascuna.
Prodi e Rutelli fanno tuttavia i furbetti. Promettono ciò che la loro maggioranza ha già mostrato di non poter mantenere. Essi per «spacchettare» e aumentare i ministeri hanno appena stravolto con un decreto legge una loro riforma, che porta il nome di Bassanini.

Il nuovo governo ha potuto così raggiungere il record di 102 componenti, fra ministri, vice ministri e sottosegretari. Questa è una maggioranza traballante e famelica, votata non a ridurre, ma a moltiplicare le poltrone.

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