Le foto del set di Pasolini tra sacro e profano

In mostra, a Casarsa, le immagini di Angelo Novi. Dietro le quinte del film dedicato al testo di Matteo

Le foto del set di Pasolini tra sacro e profano
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A quanti avevano interpretato in un'ottica cristiana il film Il Vangelo secondo Matteo, il regista Pier Paolo Pasolini rispondeva: «Taluni hanno visto in questo film l'opera di un militante cristiano, il che mi risulta del tutto incomprensibile. Sebbene la mia visione del mondo sia religiosa, non credo alla divinità di Cristo. Questa mia ricostruzione non è per niente conforme all'immagine tradizionale che se ne fa la maggior parte dei cristiani. Ho fatto un film in cui si esprime, attraverso un personaggio, l'intera mia nostalgia del mitico, dell'epico e del sacro». Così in una intervista del 1969, il film era stato presentato cinque anni prima alla Mostra del cinema di Venezia tra applausi e polemiche anche feroci.

Nonostante i dubbi dell'autore, la pellicola fu subito adottata da una parte del mondo cattolico e cinquant'anni dopo la sua uscita, nel 2014, l'Osservatore romano, quotidiano della Santa sede, ne ha tessuto un elogio iperbolico: «Il miglior film realizzato sulla vita di Cristo». La motivazione ricalca le parole di Pasolini stesso: «il prodotto di un quasi credente» e di un «nostalgico del sacro».

Oggi il Centro studi Pasolini di Casarsa, in collaborazione con la Cineteca di Bologna, inaugura una mostra fotografica di Angelo Novi sul set del film (a cura di Roberto Chiesi, fino al 25 agosto 2024). Si tratta di una quarantina di scatti, alcuni inediti, che consentono di «rivivere» il capolavoro di Pasolini. Colpisce l'intensità dei volti: dal viso intenso del Cristo interpretato dal giovane Enrique Irazoqui a quello addolorato della madre di Pasolini, Susanna, nel ruolo Maria di Nazareth ai piedi della croce. E poi la città di Matera, la Gerusalemme ritrovata di Pier Paolo Pasolini, le campagne di Barile che diventano Betlemme, i luoghi, i paesaggi di un'Italia meridionale che negli anni Cinquanta e Sessanta erano considerati il simbolo di un ambiente degradato ed emarginato e che assumono nel film un forte valore religioso ma anche di riscatto sociale.

Naturalmente, l'esposizione è anche una bella celebrazione di Angelo Novi (1930-1997), uno dei più grandi fotografi di scena del cinema italiano, che ha lavorato sui set di registi come Bertolucci, Bolognini, Comencini, Lattuada, Leone.

Torniamo al film. Tra le analisi più acute, ricordiamo quella dello storico Claudio Siniscalchi: «Pasolini era stato adottato da un cattolicesimo animato da spirito antiborghese, affiorato dopo la stagione conciliare, e deflagrato con i cattolici del dissenso (perlopiù politicizzatosi a sinistra) e con la contestazione cattolica sessantottina (due realtà storicamente separate e non sovrapponibili)». Non a caso, il film si apriva con queste parole: «Alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII». Era il 1964 e il Concilio Vaticano andava a chiudersi in un tripudio di speranze. La religione si dimostrerà finalmente conciliabile con la modernità.

Eppure... Forse i cattolici «adulti» hanno preso un granchio.

Pasolini vedeva nell'inarrestabile affermazione della società dei consumi il declino del sacro. Il mercato era veloce ed efficiente. Il mercato richiedeva consumatori intercambiabili, uno identico all'altro. Il mercato riusciva a entrare nella testa del consumatore e colonizzarne i desideri e l'immaginario. Di conseguenza, il mercato avrebbe travolto ciò che era lento, obsoleto e frenava la corsa inarrestabile verso l'individualismo o meglio l'isolamento. Quindi le tradizioni, la famiglia e la Chiesa. Ma quest'ultima non era esente da colpe.

«Mi basta prendere in mano il Vangelo per poter condannare, senza possibilità di dubbi e senza eccezioni, quell'istituzione fredda, arida, corrotta, ignorante, che è, oggi, la Chiesa cattolica» scriveva Pasolini nel 1961.

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