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Francalancia, tanti valori (plastici) in poco spazio

Di formazione letteraria, nell'ambiente della Ronda il pittore aveva in sé il paesaggio e lo spirito di Giotto

Francalancia, tanti valori (plastici) in poco spazio

Che Riccardo Francalancia sia nato, e ora si celebri, ad Assisi, sembra naturale e giusto, non per le vicende esterne della sua vita, non perché ad Assisi sia nato e in Umbria abbia trascorso la propria prima giovinezza, studiando a Spello, ma perché lo spazio naturale e spirituale di Assisi, il paesaggio e lo spirito di Giotto, erano dentro di lui: un abito mentale, una dolcezza meditata, una poesia delle cose. Esordendo a Berlino nel 1921 tra i creatori del movimento Valori Plastici, una delle sue opere esposte nella mostra Das junge Italien aveva come soggetto Assisi. La sua formazione era stata letteraria, anche attraverso l'amicizia di Armando Spadini che lo legò agli amici della Ronda fra i quali, eminente, Vincenzo Cardarelli, i cui versi hanno la stessa arcaica semplicità dei paesaggi lirici di Francalancia: «Autunno. Già lo sentimmo venire / nel vento d'agosto, / nelle pioggie di settembre / torrenziali e piangenti / e un brivido percorse la terra / che ora, nuda e triste, / accoglie un sole smarrito. / Ora che passa e declina, / in quest'autunno che incede / con lentezza indicibile, / il miglior tempo della nostra vita / e lungamente ci dice addio».

D'altra parte era stato lo stesso Cardarelli a indicare i confini della concezione dei rondisti e la loro eleganza e perfezione formale, come il principio di una corretta visione del mondo dopo lo sconvolgimento dell'Avanguardia: «Quanto a noi, letterati e classicisti, allorché diciamo senso della tradizione e ritorno all'antico non vogliamo già intendere accademismo e filologia, nel qual caso non si capirebbe perché avremmo dovuto tanto scalmanarci, dal momento che in Italia non s'è fatto mai altro. La filologia è una scienza che tutti possono imparare, ma che non può dare il gusto a chi non ne ha, giacché, tutti possono imparare, ma che non può dare il gusto a chi non ne ha, giacché, osserva Cervantes nel Dialogo dei cani, se bastasse il latino per non essere idiota, non ci dovevano essere idioti tra i latini; nel qual senso invece è naturale ed è creativo e pochi sono in grado di capirlo, nonché di possederlo. Ma neppure ci lasciamo illudere da quel presunto rinnovamento filosofico che è l'ultimo ritrovato di una cultura la quale ha perso il ricordo della propria originalità storica, quando non addirittura un fenomeno di impudente ciarlataneria, e crede poter supplire con delle astrazioni a un profondo difetto di costume. Questo è quel che è. Esiste o non esiste. La filosofia non può abbatterlo, se non quando è già morto. Non lo può creare, se non a patto di obliarsi come filosofia e convertirsi in attività pratica e positiva, la qual cosa implica discrezione, sentimento e conoscenza dei limiti che una determinata storia formalmente propone».

E se dovessimo indicare i confini della poetica di Francalancia, potremmo dire «discrezione, sentimento e conoscenza dei limiti». Quando, con alcune nature morte e paesaggi, Francalancia inizia la sua attività, in dialogo stretto con Francesco Trombadori e Amerigo Bartoli, siamo nel 1919, evaporata l'euforia dei primi futuristi e stemperata la tensione della metafisica di De Chirico. Con lui era iniziato il rappel à l'ordre che sembra coincidere con le origini del fascismo. Di questa narrativa decantazione della metafisica è, innanzitutto, titolare Mario Broglio, teorico di Valori Plastici, che accoglie Francalancia prima nel 1921, come si è ricordato, a Berlino, a fianco di Carrà, Morandi, Arturo Martini, de Chirico, Edita Walterowna zur-Muehlen, e poi nel 1922 a Firenze nell'ambito della Rassegna fiorentina primaverile. Broglio aveva fondato e diretto la rivista Valori Plastici dal 1918 al 1923, con un chiaro programma di riabilitazione dei valori del passato e della tradizione figurativa italiana, sostenendo la metafisica e pubblicando gli studi di Carrà su Giotto e di Roberto Longhi su Piero della Francesca. Non era restaurazione ma una rigenerazione di «un linguaggio plastico e costruttivo» che ritrovava soprattutto in Cézanne la sua ispirazione originaria così come aveva per primo inteso in Italia Giorgio Morandi, il più riflessivo del gruppo, un vero e proprio filosofo. In parallelo perseguiva la ricostruzione della figura umana Arturo Martini. E che non fosse una mera restaurazione lo indicano i corrispondenti europei come Braque, Klee, Lipchitz, Picasso, Tatlin, Mondrian. Per questo la teoria abbisognava di esempi: «valori plastici».

I pittori sono qui. Riccardo Francalancia, più di ogni altro, esprime, «sente» la terra umbra; e, tra il 1922 e il 1924, definisce una poetica che «pur rivolgendosi ai connotati della realtà oggettiva, tende a trasfigurarla isolandola in incorruttibili, rarefatte atmosfere di intonazione metafisica, dense di riferimenti ai trecentisti senesi e alla pittura toscana del Quattrocento» (A. Andresen). Dopo la Biennale romana del 1925, Francalancia stabilisce un ponte con l'esperienza milanese di Novecento partecipando con tre paesaggi, due dei quali ispirati ad Assisi, alla prima mostra ufficiale nel 1927. Sarà Margherita Sarfatti a proporlo, tra i dieci artisti romani, con Bartoli, Trombadori e Socrate, alla XCIII Esposizione degli amatori e cultori di belle arti. Nel 1928 Francalancia presentò a Roma la sua prima personale, e nel 1929 fu tra gli esponenti del Realismo magico, con Antonio Donghi, alla seconda mostra di Novecento al Palazzo della Permanente a Milano. Nel 1932, con un altro quadro assisiate, vince il primo premio alla Mostra internazionale di arte sacra organizzata a Padova in occasione del settimo centenario della morte del Santo. Nello stesso anno è presente alla Biennale di Venezia. L'anno successivo cominciano a manifestarsi i primi segni di un grave malessere nervoso che, per diversi anni, lo costringe a lunghe interruzioni del suo lavoro; solo nel 1935, superata la fase critica della malattia, l'artista può riprendere l'attività espositiva, partecipando alla Quadriennale romana con Paesaggio crepuscolare, Estuario del lago Trasimeno (Galleria nazionale d'arte moderna di Roma) e Natura morta con alabastro (Galleria comunale d'arte moderna e contemporanea di Roma), dipinti che ancora rivelano, nelle forme arcaiche e geometrizzanti, il costante riferimento al purismo quattrocentesco. L'attività riprende con regolarità fino al '39 quando Francalancia partecipa alla III Quadriennale romana. Nel '42 presenta un'altra personale alla Galleria delle Terme con la presentazione del ministro Bottai. Negli anni successivi, tra il '43 e il '50, sempre muovendosi fra le nature morte e i paesaggi umbri e laziali, partecipa alla IV Quadriennale a Roma e alla XXV Biennale di Venezia. A partire dai primi anni Cinquanta riprende con impegno la sua attività con altre mostre personali in gallerie private, partecipando alla VII Quadriennale romana del 1956.

Nel 1961 cura un'antologica per il centro culturale della Olivetti di Ivrea e altre personali, a Roma (1963, Galleria Russo; 1964, Galleria Nuova Pesa), a Torino (1965, Galleria Bussola) e a Perugia (1965, Galleria Le Muse). Nel 1965, il 20 maggio, muore.

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