Quando arrivò il film Titanic in Francia il record di incasso al botteghino durava imbattuto da oltre trentanni. Ed era detenuto da La grande vadrouille (che in Italia uscì con il titolo Tre uomini in fuga), che nelle sale aveva venduto 17 milioni e 267mila biglietti. Era il 1966 e il protagonista del film, Louis de Funès, il Totò dellEsagono, era amatissimo dal pubblico ma ancora lasciava molto scettici i critici, che lo tenevano fuori dallempireo del grande cinema. Proprio come era accaduto qualche anno prima da noi al principe de Curtis, con il quale condivideva una vis comica straordinaria e la nobile ascendenza.
Per celebrare degnamente il più grande comico francese del grande schermo scomparso nel 1983 a 68 anni, esce Oltralpe la sua biografia più completa, Louis de Funes, smorfie e gloria, 500 pagine del giornalista Bertrand Dicale. Ma viene anche proiettato in cinquanta sale la versione digitale di uno dei suoi maggiori successi, Io, due figlie, tre valigie (titolo originale Oscar).
De Funès, classe 1914, segnò in Francia il cinema popolare e il teatro brillante dalla metà degli anni Cinquanta fino al 1983, rifiutò sempre i ruoli drammatici e con Totò girò due film, entrambi nel 1959 ed entrambi diretti da Steno, I tartassati (con Aldo Fabrizi) Totò, Eva e il pennello proibito.
Ma fino al 1964, quando di lui Fernandel disse che era «il nuovo gigante del cinema francese» forse per sottolineare simpaticamente che era alto solo 1,64, era stato solo un pur bravo comprimario che aveva girato un centinaio di film. Poi, con Una ragazza a Saint-Tropez e, soprattutto, nei panni del commissario Paul Juve di Fantomas 70, arrivò il grande successo.
Il biografo Dicale dice che «che è lunico grande attore francese ad essere straordinario nei film brutti». E probabilmente è vero.
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