Alberto Toscano
da Parigi
Il deputato francese Pierre Lellouche, 54 anni, è uno dei personaggi più vicini al ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy, che vuol essere il candidato dell’Union pour un Mouvement populaire (Ump, il partito oggi al governo) alle elezioni presidenziali della primavera 2007. Tuttavia l’Ump, formazione chiave del centrodestra francese, è divisa tra la «tendenza Sarkozy» e il gruppo dei fedelissimi del presidente della Repubblica Jacques Chirac e del primo ministro Dominique Villepin. La tensione si riflette in questa intervista.
La rivolta delle banlieues è finita, ma la Francia ha la bocca amara. Perché?
«Moltissimi francesi di destra e di sinistra provano una sensazione d’immensa delusione sul bilancio di dieci anni di presidenza Chirac. C’è aria d’immobilismo, di paralisi. Pur con alcune eccezioni, la Francia non riesce a realizzare le necessarie riforme. Ci sono continuamente problemi. In questi giorni abbiamo avuto lo sciopero delle ferrovie. Le persone che vanno a lavorare sono trattate come animali perché gli scioperanti respingono l’idea di garantire un “servizio minimo” nei trasporti pubblici».
Lei cosa avrebbe fatto?
«Avrei approfittato dell’isolamento dei sindacalisti per far approvare una legge sugli scioperi nel settore pubblico e sulle garanzie a proposito di un “servizio minimo”».
Invece Chirac e Villepin preferiscono il compromesso. Perché?
«Perché è in atto una sorta di deriva socialdemocratica del potere. Su certi dossier Chirac assume persino delle prosizioni ammiccanti verso la sinistra terzomondista».
Lei è uno dei collaboratori più stretti di Sarkozy, ma fino al 1995 è stato consigliere personale di Chirac per Esteri e Difesa. Perché è diventato «sarkozista»?
«Perché sono un liberale. La differenza tra Sarkozy e Chirac è che noi pensiamo che il popolo sia pronto per le riforme, a condizione che queste vengano adeguatamente spiegate, mentre Chirac pensa che il popolo non sia maturo per conoscere la verità e che questa debba essere camuffata. Ho un chiaro disaccordo con Chirac e con Villepin a proposito della politica estera, della politica europea e della politica economica».
Che cosa rimprovera alla politica estera di Chirac?
«Un solo esempio: il comportamento di fronte alla crisi irachena. Due anni fa la Francia si è vantata del cosiddetto “asse Parigi-Berlino-Mosca”, ma una sola volta c’era stata un’intesa del genere: quella tra Pétain, Hitler e Stalin nel periodo 1940-41. Un gran brutto ricordo».
Bisognava andare in Irak?
«Bisognava eliminare Saddam Hussein. Sul modo in cui questo obiettivo è stato raggiunto si può discutere, ma questo non assolve la Francia dalle sue responsabilità».
In che senso?
«Lo choc dell’11 settembre 2001 è stato terribile per gli Stati Uniti e ha avuto una prima risposta nell’intervento in Afghanistan. Poi è stato chiaro che Washington sarebbe intervenuta anche contro l’Irak. La Francia avrebbe potuto criticare quell’iniziativa senza opporvisi con tutte le proprie forze, come hanno invece deciso di fare Chirac e Villepin. Qual era la “politica alternativa” che la Francia ha proposto per l’Irak, se non il mantenimento di Saddam Hussein al potere? Qual è l’unico capo di Stato occidentale andato a Damasco ai funerali di Assad padre? Jacques Chirac».
Come esce Sarkozy dalla rivolta delle banlieues?
«A sinistra e anche a destra c’è chi ha cercato di indebolirlo. La sinistra attacca Sarkozy per ricostruire la propria unità. Però non sa fare proposte, essendo ideologicamente cieca di fronte alla realtà delle banlieues. Una cosa è certa: Sarkozy non è responsabile del fallimento di trent’anni di politica d’integrazione degli stranieri in Francia».
Però i giovani delle banlieues hanno visto nel «duro» Sarkozy il loro principale nemico...
«Quali giovani delle banlieues? Nelle banlieues, la sicurezza di tutti è messa a repentaglio da manipoli di teppisti. Le prime vittime sono proprio gli abitanti delle banlieues, che difatti hanno capito le ragioni della politica di Sarkozy».
Sarkozy dice che lo Stato deve finanziare le moschee così come aiuta le chiese. Lei che ne pensa?
«In un quadro ben definito, lo Stato dovrà occuparsi anche delle moschee, se non vogliamo che siano i sauditi a finanziarle. È nostro interesse poter vigilare sull’azione degli imam».
Ha cambiato idea sul diritto di voto agli immigrati?
«Sì, adesso sono favorevole, alla condizione - per una ragione di principio - che ci sia reciprocità».
Che cosa pensa del Patto di stabilità?
«Esistono due grossi problemi irrisolti: l’armonizzazione fiscale e l’assenza di un’autorità politica europea capace di fare da contrappeso all’autorità monetaria della Bce».
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