In riferimento alla lettera del signor Elio Rosi mi sento in qualche modo chiamato in causa e vorrei rispondere poiché non concordo appieno con ciò che ha scritto. Partendo dal presupposto della mia doppia nazionalità (mia mamma è nativa e cresciuta a Parigi), sento il dovere di difendere e fare delle distinzioni tra le immigrazioni che viviamo oramai da quindici anni in Italia, e quelle avvenute più di quarant'anni fa in Francia. I miei nonni, come migliaia di italiani varcarono le Alpi perché l'Italia offriva poco o niente e nelle loro difficoltà si insediarono in territorio francese ricchi di mestiere. Meccanici, operai, muratori, vetrai, arrivarono con nelle mani un lavoro e anche se la vita non è mai stata facile sono riusciti nel loro piccolo ad emergere. Ho letto di afro-francesi ma potremmo parlare di ispanico-francesi o italo-francesi come il sottoscritto, che purtroppo non gioca nella Nazionale transalpina ma che conosce la Marsigliese a dispetto di un Cassano che farebbe rabbrividire anche Mameli.
Non stupiamoci se i vari Thuram, Vieira sono le colonne o il simbolo dell'atleta francese, in Francia il medico è di colore, come del resto il banchiere e lo stesso giornalista. È tutto un problema di integrazione e di gestione anche geografica di immigrazione. Gli occhi italiani hanno una difficile quotidianità con gli sbarchi di albanesi, rumeni, slavi, popoli ben diversi che non possono essere paragonabili all'immigrazione italiana o africana di quarant'anni fa.
La mia lettera di risposta non vuole essere assolutamente polemica ma è aperta alla criticità, anche la Francia negli ultimi anni ha avuto problemi di gestione e gli ultimi recenti eventi nella «banlieu» ne sono la testimonianza, come del resto è sintomatica la forza politica di destra capeggiata da Jean Marie Le Pen che difende i diritti dei veri francesi.
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