Franz Kafka e l’arte di disegnare gli incubi

L’opera del grande scrittore praghese “riletta” attraverso la graphic novel. E il senso del capolavoro non cambia. Come è destino dei classici

Franz Kafka e l’arte 
di disegnare gli incubi

Esistono decine, centinaia di definizioni di “classico”. Da Thomas S. Eliot a Arnold Bennett si potrebbe tentare un’antologia d’autore su che cos’è un classico in letteratura. Riassumendo e semplificando, si potrebbe dire che un “classico” è quell’opera che resiste non solo al tempo ma alle “letture”, nel senso che continua a mantenere il proprio messaggio e il proprio valore anche quando viene re-interpretata in forme diverse, anche le più estreme: il caso del Giulietta e Romeo di Shakespeare in salsa tarantiniana nel famoso film “pop” di Baz Luhrmann del ’96 - dove il testo shakespeariano mantiene tutta la sua forza e la sua attualità anche in bocca ai peggiori ceffi di un gang metropolitana nella Californiana di oggi – è solo un esempio fra migliaia. “I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale”, scriveva Italo Calvino. Ecco: inconscio collettivo. “Classico” è il testo il cui contenuto si deposita nell’inconscio umano, anche se - in tempi e luoghi differenti - mutano i “contorni”, le forme, i colori…

In questo senso, un classico assoluto della modernità, forse il classico dei classici, è l’intera opera di Franz Kafka (1883-1924), lo scrittore ebreo praghese di lingua tedesca senza il quale il secolo scorso, e questo attuale, non sarebbero quello che sono. La dimostrazione è l’infinità varietà di “letture” kafkiane che l’editoria, ma non solo, ci propone di continuo. Solo negli ultimissimi mesi non si contano le riedizioni dei suoi testi: nelle collane dei classici, appunto, in quelle per la scuola, nei tascabili, in versione audiolibro (“La metamorfosi” in versione audio, in due cd, per le edizioni Narratore Audiolibri)... E ora anche in versione graphic novel, ossia quel particolarissimo tipo di fumetto in cui le storie hanno la lunghezza del romanzo e si rivolgono a un pubblico adulto. Un genere letterario che sembra adattarsi perfettamente a Kafka e alla sue storie senza tempo. 

Due gli esempi più recenti. Da una parte, il capolavoro La metamorfosi (pubblicata da Guanda) nella versione dell’illustratore americano Peter Kuper (nato nel 1958 a Cleveland, nell’Ohio), fondatore della rivista politica a fumetti “World War 3” e disegnatore per grandi giornali come “The New Yorker”, “Time” e “The Washington Post”: qui la storia del commesso viaggiatore Gregor Samsa che si risveglia una mattina scoprendosi trasformato in un enorme scarafaggio ma continuando a pensare e ragionare come uomo, mantiene e anzi sembra arricchire l’impatto emotivo e la resa espressiva della scrittura kafkiana. Dall’altra parte, la biografia Kafka (appena uscita da noi per Bollati Boringhieri con un’introduzione di Goffredo Fofi) raccontata - anzi disegnata - da Robert Crumb, probabilmente il più grande fumettista underground del mondo. Nato ma Philadelphia nel 1943 e fin da giovanissimo vicino alla movimento creativo del comix underground e più in generale alla controcultura degli anni Sessanta-Settanta (acidi compresi), Crumb ha creato nella sua lunga e gloriosa carriera alcuni personaggi divenuti dei veri simboli come Fritz The Cat o Mr. Natural. Oggi il tratto underground di questo maestro della matita dà corpo alla vita e alla fantasia onirica del grande praghese in una bellissima storia in forma di disegni e fumetti (con testi di David Zane Mairowitz) che porta il lettore sotto la bombetta del Signor K., fin dentro il cervello del grande scrittore-visionario che meglio di chiunque altro nel Novecento ha perlustrato gli anfratti della condizione umana.

Dal tratto spigoloso, graffiato, duro di Kuper alle tavole “espressioniste” di Crumb, due modi “altri” di leggere l’opera di Kafka, ma identici nel trasmettere gli incubi –

che poi non sono altro che le inevitabili declinazioni di quella strana regola che si chiama vita - terribili, claustrofobici, amari, sognati da un mite signore ignorato dalla sua epoca e che oggi è un Classico.  

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