Dark lady - o, meglio: oscura - gran dama e vera signora, Paula Fox ha leleganza naturale di colei che sa darsi e prendersi tutto il tempo che (ci) vuole. Nella precoce infanzia dei suoi sette anni espresse il desiderio di fare la scrittrice, ma solo nellaurea maturità dei suoi 43 scrisse il primo romanzo. Da decenni viveva indisturbata accanto al terzo marito, inventando storie e fosche favole per ragazzi. Ma per decenni i suoi libri, ignorati, trascurati, mai ristampati, dimenticati, restarono introvabili. Finché alla fine qualcuno la trovò.
Era il 1991, e Jonathan Franzen, alle prese con la scrittura del suo secondo romanzo nella colonia letteraria di Yaddo, cercava disperatamente qualcosa di buono da leggere. Fu Sigrid Nuñez a suggerirgli Desperate Characters della Fox. E lui la lesse e rilesse come una straordinaria, e ancora privata, rivelazione. A nulla valse infatti il saggio entusiastico che pochi anni dopo (ma ancora prima delle sue Correzioni) Franzen nel 96 dedicò alla scrittrice su Harpers Magazine, caldeggiando la riedizione dei suoi titoli. Quando però nel 2001 (dopo Le correzioni) autorevolmente ne scrisse sul supplemento letterario del New York Times, paragonandola ai classici dAmerica (Saul Bellow, Philip Roth, John Updike) e ai grandi dogni dove (Franz Kafka, Anton Cechov, Gustave Flaubert), la trasformò in un fenomeno.
Sarah Churchwell gli fece eco sul Times Literary Supplement, ribadendo che «la Fox ha la grande autocoscienza di Roth senza la smodata autostima di Bellow e la smaccata autocommiserazione di Updike». Jonathan Lethem la elesse sua maestra. Unesclamativa Zoë Heller la definì «una grande, grande, grande, grande scrittrice!!». In questi nipotini, «i suoi ragazzi», colei che davvero con fresca affinità giovanile più che con la benevola pazienza di una nonna «per ragazzi» non ha mai smesso di scrivere, si riconosce volentieri. «Sono giovani dotati, molto più disincantati di quanto fossi io alla loro età», ne disse. Ma, in una «nonna» la gran dama delle mille storie ha dovuto alla lunga saggiamente consentire a riconoscersi.
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