Le frasi choc del tifoso ferito

«Allo stadio le coltellate si prendono e si portano a casa». Tutto normale, non c’è problema, dice l’ultrà romanista Maximiliano Ioele. Non c’è problema anche se la coltellata in questo caso è arrivata a lui, dritta nella gola. Un cronista della Gazzetta dello Sport lo ha raggiunto in ospedale e lo ha intervistato a caldo, due giorni dopo il derby e il ferimento che poteva mandarlo al creatore. Le risposte date da questo ragazzo di 22 anni fanno capire in quale brodo di coltura cresca la violenza che si è vista domenica dentro e fuori lo stadio dove si giocava il match tra Roma e Lazio. Il ragazzo ha tatuato un gladiatore, la sciarpa giallorossa immancabile sul comodino, e inizialmente non vorrebbe parlare con i giornalisti, in base al codice d’onore degli ultrà, secondo cui sono nemici, quasi come polizia e carabinieri: «Voi scrivere un sacco di cazzate sul nostro mondo, non lo conoscete».
«Hai avuto paura di morire?», chiede il giornalista. E il ragazzo di 22 anni risponde placido: «Sì per qualche minuto, ma me la sono cavata». Ma la cosa più sorprendente è l’atteggiamento verso gli aggressori. Innanzitutto di omertà: «Sì mi sono arrivati alle spalle, non so quanti erano, non li ho visti è stato un attimo». Ma non è solo omertà, si va oltre, c’è vera e propria complicità: «Che cosa penso dei miei aggressori? Dovrei dire che sono infami, pezzi di merda? No, allo stadio le coltellate si prendono e si portano a casa».

Il ragazzo rifiuta di dare dettagli sulla rivalità con i gruppi laziali, con cui sembrava che ci fosse stata una tregua («sei poco informato»), e anche sul perché si trovasse proprio in mezzo alla zona degli scontri («e lo vengo a dire a te?»). La naturale conclusione: nonostante il rischio «certo tornerò allo stadio, perché non dovrei».
Se qualcuno si chiede come mai a ogni derby romano scorre il sangue, la risposta è in queste righe.

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