IL FRONTE CONFUSIONALE

Il centrosinistra è sempre più diviso: dall'Irak a Bologna, dalla legge Biagi al cardinale Camillo Ruini, dal tipo di campagna elettorale da fare in Sicilia all'alta velocità, da Israele fino alla Coca-Cola. Si dirà che non è una novità. In cinque anni di centrosinistra, le divisioni dell'Ulivo hanno prodotto quattro governi. Le liti sono state sistematiche: Massimo D'Alema contro Romano Prodi, che era a sua volta contro Fausto Bertinotti, che era contro Armando Cossutta che osteggiava Piero Fassino per la politica nei Balcani, che a sua volta criticava Walter Veltroni per come trascurava il partito, mentre al futuro sindaco di Roma non piacevano i politici come Clemente Mastella per la loro poca radicalità, e l'uomo di Ceppaloni criticava Sergio Cofferati per il suo massimalismo, mentre l'allora segretario della Cgil attaccava D'Alema per moderatismo.
Si può osservare che nelle elezioni del 2006, con un Bertinotti deciso a tornare al governo per sgonfiare l'estremismo che cova in Rifondazione, una certa divisione coperta dalla logica da fronte popolare antiberlusconiano, può persino giovare al centrosinistra. Ogni settore dell'«Unione» mirerà il suo target: i giovani arrabbiati voteranno Bertinotti, i vecchi pacificati Mastella. Gli amici di Ruini: Rutelli, i nemici: il pannellizzato Enrico Boselli. Chi vuole l'alta velocità: Pierluigi Bersani, chi non la vuole: Alfonso Pecoraro Scanio. Chi preferisce l'Iran: Oliviero Diliberto, chi ama Israele: Peppino Calderola. Per abbattere Berlusconi, tutto farà brodo.
Però, gli antichi fronti popolari, quelli veri contro il fascismo e il nazismo negli anni Trenta, funzionavano perché c'era chi guidava le danze. Per lo più i comunisti che avevano le posizioni più determinate, anche se inquinate dagli interessi di Mosca.
Oggi la funzione di spina dorsale del «fronte» i post comunisti Ds, che hanno giocato questo ruolo nel '96 con Prodi e nel 2001 con Francesco Rutelli, non paiono più essere in grado di reggerla. Considerate i sindaci Ds della Val di Susa che si scontrano con il presidente Ds del Piemonte. Il Ds Cofferati impegnato nella difesa della legalità sbeffeggiato dal Ds Veltroni e dal prefetto Ds-dipendente Bruno Ferrante: con il risultato di dare mano libera alle follie di Dario Fo. Valutate come i Ds da Venezia alla Sicilia non riescono a contrastare qualsiasi tipo di candidatura demagogica, da Rita Borsellino a Felice Casson. Esaminate la faida milanese dove vi sono stati Ds contro la candidatura di Umberto Veronesi e altri Ds che per vendicare la manovra anti-oncologo hanno sabotato la candidatura del Ds Filippo Penati. Il vecchio partito-macchina che anche diventato Ds, riusciva a tenere insieme iscritti, interessi contrapposti, ad allineare i suoi sindaci e sindacalisti per la causa comune, non pare esistere più. L'ultrasgobbone Piero Fassino ha sostituito alla politica il lavoro organizzativo: e ora i risultati della mancanza di una chiara visione da offrire agli iscritti e agli elettori, si vedono. Certo, c'è ancora una forte mobilitazione popolare come si è visto con le primarie per Prodi. Ma con le idee di Arturo Parisi per tenere insieme questa mobilitazione (unire le tensioni ideali del Concilio Vaticano II a quelle del Sessantotto) non si va molto lontani e soprattutto non si arriva a uno straccio di vero programma di governo da presentare al voto.

Più che un «fronte popolare» contro il berlusconismo, con questi Ds allo sbando (e non parliamo degli effetti che il sonno della ragione sta producendo nella Cgil), alla fine contro il terribile berlusconismo si finirà per organizzare una «melassa popolare».

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