Il fronte del no conquista anche Treu e Franca Rame

Cinquanta tra senatori e deputati dell’Unione creano un comitato: «Il governo faccia marcia indietro»

da Roma

«Da questa sera ci costituiamo in Comitato di chiarimento e di azione», annuncia Laura Fincato con solennità, mentre nella sala del Cenacolo si leva un contenuto applauso. Saranno in cinquanta tra onorevoli e senatori, prevalentemente donne, ma rappresentano la sinistra di lotta e di governo, anzi di lotta contro il governo, perché decisi a ribadire il no all’allargamento della base americana di Vicenza.
Ore 19 di ieri: nell’ex convento di vicolo Valdina va in scena la protesta contro il sì di Prodi e D’Alema, pur mancando all’appello molti dei 120 parlamentari che avevano firmato il manifesto del no. Son rimasti solo gli irriducibili? «Parecchi hanno mollato», ammette Katia Zanotti che pure lei non appare molto convinta, deve aver firmato per obbedienza al correntone diesse. Al tavolo di presidenza, Gino Sperandio ormai al quinto giorno di sciopero della fame conferma «l’adesione formale degli interi gruppi dei Verdi, Rifondazione e dei Comunisti italiani, più numerosi colleghi di altri gruppi... In sala vedo anche la senatrice di Italia dei Valori Franca Rame». Han dato la presidenza alla Fincato perché è vicentina ma ancor più della Margherita, «che non si dica che siamo tutti estremisti». Se son pochi, incalzano gli irriducibili, è perché in aula si sta votando, e parecchi sono a Nairobi per il Global Forum. «Ci sono anche due presidenti di commissione», sottolinea Ramon Mantovani indicando Franca Bimbi (che presiede la XIV) e Roberta Pinotti della Difesa. Quest’ultima però, precisa: «Sono qui per cortesia e dovere istituzionale, non aderisco».
Lotta dura senza paura, ci sono i veneti dell’Unione, anche Tiziano Treu ha inviato un messaggio di «solidarietà» e «auspicio in un ripensamento del governo». Con la sinistra radicale che propone una mozione parlamentare per bloccare il governo, oltre all’appuntamento del 17 febbraio per la grande manifestazione a Vicenza. Ma dove sperano di andare, se Prodi e D’Alema hanno ormai detto sì a Washington? «Scommetti che ce la facciamo?», provoca con sicurezza Tiziana Valpiana. «Dovranno passare sui nostri corpi», promette tranquillo Francesco Caruso, «letteralmente». Alla presidenza, la Fincato accusa il governo di averli usati come «nastro trasportatore delle mezze verità, o delle mezze bugie». Lalla Trupia, che si è «autosospesa» dalla Quercia, incalza: «Ci hanno ingannato. Passi per il centrodestra vicentino che si è delegittimato da solo, ma noi siamo stati delegittimati dal governo, ora Vicenza è senza rappresentanza politica». Insieme, le due onorevoli snocciolano i numeri della protesta vicentina: 84 autosospesi dai Ds, tra cui 3 consiglieri comunali su 6, 10 circoscrizionali su 17, 20 su 30 membri della direzione cittadina, e l’intera direzione provinciale della Margherita.
Dal tavolo, pende una bandiera bianca che recita «No Dal Molin». Viene letto il messaggio dell’ex sindaco di Vicenza e capogruppo dell’Ulivo in regione, Achille Valiati: la decisione del governo è giunta «come una pugnalata» dice, Vicenza è «ferita».

Anche Cossiga ha mandato un messaggio: tifa ma «senza credere nel loro successo», dunque saluta il «coraggioso atto di testimonianza» sempre utile in un Paese «troppo ricco di piccoli Guicciardini» e scarso di «medio-piccoli Machiavelli».

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