Fuga da Kronshtadt, la rivolta muta di una donna sola

I diciotto giorni della rivolta dei marinai di Kronshtadt, all’inizio del 1921, prima che arrivassero le guardie rosse di Trotzkij a massacrare chi chiedeva la libertà di stampa e di parola. I rivoluzionari che si opponevano alla dittatura della rivoluzione. Le barricate e i feriti. I morti e i combattimenti. Il vento e il gelo. La luce dei falò che illumina i balli notturni sulla prospettiva Nevskij e il buio delle stanze fumose in cui i cospiratori preparano la rivolta delle loro anime ardenti. Ma dopo il fragore dei fucili e il tuono dei cannoni, dopo il ritorno all’ordine rosso, da Kronshtadt e dall’intera Russia comincia, anzi continua, la grande diaspora verso l’Occidente, Parigi soprattutto. È lì che Anastasija S. (non a caso il suo nome è quello della leggendaria figlia dello zar sopravvissuta al massacro di Ekaterinburg), ricomincia a vivere. A intrecciare e a sciogliere i fili della memoria e del rimpianto.
Con La suonatrice di theremin. L’insurrezione di Kronshtadt nei ricordi di Anastasija S. musicista e cuoca, Gianni-Emilio Simonetti scrive uno di quei libri, come già in precedenza La vivandiera di Montélimar, in cui storia e mito, fantasia e documenti, romanzo e memoria si incontrano fino a confondersi, come gli ingredienti di una delle ventisette ricette, dalla crema di Paska, il dolce tradizionale della Pasqua russa, alla Botvinia, la minestra fredda di pesce, in cui Anastasija ritrova nei bistrot e nei boulevard di Parigi gli odori e i sapori della sua infanzia e di quella gioventù che ormai è invecchiata nella conta dei morti e nel ritmo borghesemente proletario di chi ormai dai giorni che verranno non attende altro che riportino l’ombra del tempo perduto cui aggrapparsi per sopravvivere. «Arrivata a Parigi era rimasta stupita dal numero di coloro che tra gli intellettuali si definivano comunisti, soprattutto tra i poeti, ma adesso credeva di aver capito. Le avanguardie erano cancelli aperti sul nulla, prendere le parti del comunismo era una via d’uscita che tranquillizzava, ma non sempre le vie d’uscita che s’immaginano danno sulla strada. L’avventura di Kronshtadt le aveva insegnato che, il più delle volte, finiscono in cimitero».
Così, il cibo che Anastasija cucina in un ristorante russo di Parigi s’intreccia agli incontri nel magma della città che, tra le ferite di una guerra vinta e l’attesa di un altro conflitto, vive il suo periodo più luminoso. E nel suono triste del suo violino e in quello vibrante del theremin, un particolare strumento, trova la musica del destino suo, del suo popolo ormai perduto, dell’illusione di una generazione tradita da se stessa: «Non aveva fatto nulla eppure si sentiva colpevole. Vivere, in quei giorni, sembrava essere l’origine di tutte le colpe.

Quando i pedoni sulla scacchiera diventano re si giunge sempre ad un accordo sul tradimento. Basta convenire sul prezzo».

Gianni-Emilio Simonetti, La suonatrice di theremin. L’insurrezione di Kronshtadt nei ricordi di Anastasija S. musicista e cuoca (DeriveApprodi, pagg. 171, euro 15).

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