La cucina color zafferano di Yasmin Crowther (Guanda, pp. 260, 14,50 euro) è un romanzo che ben rappresenta un fenomeno sempre più ampio e diffuso: da un lato la crescita vertiginosa di una letteratura globale, cosmopolita, multiculturale o etnica che dir si voglia; dall'altro un nuovo filone, più complesso, che potremmo meglio definire «contaminato» o «meticcio». Lo interpreta una folta giungla di scrittori sparsi per il mondo, figli d'immigrati o di coppie miste, che porta con sé culture, idee, visioni del mondo, ma anche scontri, fratture generazionali e a volte rappacificazioni: dai più noti come l'anglo-pachistano Hanif Kureishi che ha fatto scuola (un esempio fra tutti) ai giovani emergenti, il panorama letterario attuale è sempre più affollato.
Yasmin Crowther è una di loro. Nata nel 1970 in una famiglia anglo-iraniana - padre psicologo inglese protestante e madre ostetrica iraniana musulmana - l'esordiente romanziera (ovviamente laica) vive a Londra, si sente a pieno titolo londinese e non inglese («Londra è cosmopolita; l'Inghilterra provinciale») e incarna fino in fondo il modello del nuovo writer-globale, una sorta di neo-scrittore urban-sincretico (passateci il neologismo), che mette in luce stati d'animo, paure e sensibilità diverse in perenne conflitto tra modernità e passato. Il libro, illuminante in questo senso, parte da una serie di episodi traumatici che mettono in primo piano il dramma dellesule (o dell'immigrato) costretto a misurarsi in modo più o meno consapevole con l'eterna definizione di appartenenza e identità.
La trama: Maryam Mazar, sessant'anni, iraniana di nascita, un marito inglese, una figlia sposata e quarant'anni alle spalle dintegrazione a Londra, dopo la morte della sorella a Teheran e la drammatica interruzione della gravidanza della figlia, decide di tornare nella sua terra d'origine, in un Iran rurale e montano intorno al villaggio di Mazareh, dove era stata rinnegata in gioventù dalla famiglia per un peccato mai commesso. Ma il suo non è un rifiuto dei valori occidentali come si potrebbe pensare, bensì un percorso mentale oltre che geografico più sottile: ci sono i fantasmi del passato da affrontare nel tentativo di ricomporre il presente di una famiglia in crisi.
Il ritorno della donna non più giovane assume dunque un doppio significato di «purificazione» e di riconciliazione con se stessa, il mondo e le culture diverse che l'hanno plasmata e alle quali inesorabilmente appartiene. Moderno romanzo di contro-immigrazione alla ricerca di un centro di gravità permanente, ancora una volta il contrasto tra generazioni si fa evidente.
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