Economia

Fuga dal Sud: 700mila emigrati

Nel Sud Italia il pil crolla dell'1,1% segnando il dato peggiore della media nazionale. Continua l'ondata migratoria verso il Nord del Paese: in dieci anni partite 700mila persone

Fuga dal Sud: 700mila emigrati

Roma - Il Mezzogiorno italiano è la Cenerentola d’Europa: il Rapporto Svimez 2009 confronta le "dinamiche economiche degli altri paesi europei". Secondo il Rapporto, "in dieci anni, dal 1995 al 2005, le regioni meridionali sono sprofondate nella classifica europea, situandosi in posizione comprese tra 165 e 200 su un totale di 208. Un processo in decisa controtendenza con le altre aree deboli Ue, che sono cresciute mediamente del 3% annuo dal 1999 al 2005, mentre il Sud si è fermato a +0,3%".

Il Sud continua a migrare Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. "Caso unico in Europa - sottolinea l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno - l’Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni". I posti di lavoro del Mezzogiorno, in particolare, "sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all’emigrazione". Così nel 2008 il Sud ha perso oltre 122mila residenti a favore del Centro-nord, a fronte di un rientro di circa 60mila persone. Oltre l’87% delle partenze ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L’emorragia più forte è in Campania (-25mila), seguono Puglia (-12.200) e Sicilia (-11.600). Nel 2008 poi - spiega lo Svimez - sono stati 173mila gli occupati residenti nel Sud ma con un posto di lavoro al Centro-nord o all’estero, 23mila in più del 2007 (+15,3%). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel weekend o un paio di volte al mese. Sono giovani e con un livello di studio medio-alto: l’80% ha meno di 45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato (il 24% è laureato). Spesso sono maschi, single, dipendenti full-time in una fase transitoria della loro vita, come l’ingresso o l’assestamento nel mercato del lavoro. Le regioni che attraggono maggiormente i pendolari sono Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio. È da segnalare però la crescita dei pendolari meridionali verso altre province del Mezzogiorno, pur lontane dal luogo d’origine: 60mila nel 2008 (erano 24mila nel 2007). Rispetto ai primi anni 2000, poi, sono aumentati i giovani meridionali trasferiti al Centro-nord dopo il diploma che si sono laureati lì e lavorano lì, mentre sono diminuiti i laureati negli atenei meridionali in partenza dopo la laurea in cerca di lavoro. In vistosa crescita le partenze dei laureati "eccellenti": nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%. La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50% dei giovani «immobili al Sud» non arriva a 1.000 euro al mese, mentre il 63% di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1.000 e 1.500 euro e oltre il 16% più di 1.500 euro.

Il 20% dei lavoratori in nero Nel Mezzogiorno il "sommerso" è in calo, ma un lavoratore su 5 è ancora in nero. Nel 2008 al Sud ci sono state 22mila lavoratori irregolari in meno, "per effetto anche della campagna di regolarizzazione degli stranieri, soprattutto nel settore edile". Di conseguenza, il tasso di irregolarità è sceso dal 29,7% del 2001 al 18,6% del 2008. In Italia i lavoratori in nero sono stimati in 2,943 milioni nel 2008, ovvero l’11,8% del totale. I settori di maggiore diffusione del sommerso sono l’agricoltura e i servizi. Al Sud, invece, è irregolare un lavoratore su 5, pari in valori assoluti a 1,3 milioni di persone, con tassi di irregolarità del 12,8% nell’industria e del 19% nelle costruzioni. La regione più "nera" è la Calabria, con il 26% di manodopera irregolare, che sale a quasi il 50% in agricoltura e al 40% nelle costruzioni. Seguono la Basilicata (20,3%), con un forte peso del settore industriale, la Sicilia (19,8%), la Sardegna (19,5%) e la Puglia (17,4%). Il più alto numero di lavoratori in nero, in valori assoluti, spetta alla Campania (329mila persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4% (79mila unità). Più in generale - evidenzia l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno - nel 2008 il tasso di occupazione meridionale è sceso al 46,1%. Gli occupati sono cresciuti al Centro-nord di 217mila unità, mentre sono scesi di 34mila nel Sud. A livello regionale, ci sono stati risultati positivi per il terzo anno consecutivo per Molise (1,6%), Puglia (0,3%) e Abruzzo (3,2%). Gli occupati crollano soprattutto in Campania (-2,2%) e Calabria (-1,2%), mentre flessioni più contenute sono nelle isole (-0,6% in Sicilia e -0,3% in Sardegna). L’anno scorso, poi, i disoccupati sono aumentati più al Centro-nord (+15,3%) che al Sud (+9,8%). Nella classe di età 15-24 anni la disoccupazione è arrivata al 14,5% al Centro-nord e al 33,6% al Sud. Qui crescono anche i disoccupati di lunga durata: sono il 6,4% del totale, ma erano il 5,9% nel 2007. All’Italia - conclude lo Svimez - "spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17% dei giovani meridionali in età 15-24anni lavora, contro il 30% del Centro-nord".

Affossato dalla crisi E' crollato a -1,1% il pil delle regioni meridionali nel 2008, segnando un dato peggiore della media nazionale (-1%) e del Centro-nord (-1%). Si delinea la fotografia di un Sud "in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale, e da 7 anni consecutivi cresce meno del Centro-nord, cosa mai avvenuta dal dopoguerra a oggi". In particolare, la Campania ha avuto una diminuzione del pil particolarmente elevata (-2,8%), mentre per le altre regioni meridionali le perdite sono state più contenute: la meno colpita dalla crisi è la Puglia (-0,2%). Il pil per abitante - sottolinea l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno - è pari a 17.971 euro, il 59% del Centro-nord (30.681 euro), "con una riduzione però del divario di oltre 2 punti percentuali dal 2000, dovuta solo alla riduzione relativa della popolazione". Un altro indicatore, poi, "rende l’idea della situazione stagnante: nel 1951 nel Mezzogiorno veniva prodotto il 23,9% del pil nazionale. Sessant’anni dopo, nel 2008, la quota è rimasta sostanzialmente immutata (23,8%). Dal 1951 al 2008 il Sud è cresciuto circa agli stessi ritmi del Centro-nord, ma non è riuscito e non riesce a recuperare il gap di sviluppo". A livello settoriale "l’agricoltura meridionale ha tenuto molto più di industria e servizi e ha invertito il trend negativo iniziato nel 2005". In particolare, molto positiva è stata la performance della Basilicata, con una crescita del Pil nel 2008 rispetto al 2007 del 24%. A fare le spese maggiori della crisi è stata l’industria, con un calo del Pil nel 2008 del 3,8%, mentre le produzioni manifatturiere hanno segnato un calo di oltre il 6%. Perdita più contenuta, invece, nel settore dei servizi, dove, dopo 4 anni di forte crescita, nel 2008 il Pil è sceso dello 0,3%, con un calo quasi del 3% nel comparto del commercio. Il quadro "diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche degli altri Paesi europei". In dieci anni, dal 1995 al 2005, le regioni meridionali sono sprofondate nella classifica europea, situandosi in posizioni comprese tra la 165esima e la 200esima su un totale di 208. Un processo "in decisa controtendenza con le altre aree deboli Ue, che sono cresciute mediamente del 3% annuo dal 1999 al 2005, mentre il Sud si è fermato a +0,3%".

L'appello di Napolitano "Deve crescere nelle istituzioni, così come nella società, la coscienza che il divario tra Nord e Sud deve essere corretto", commenta il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "La crisi economica rafforza il convincimento che una prospettiva di stabile ripresa del processo di sviluppo debba essere fondata sul superamento degli squilibri territoriali, necessario per utilizzare pienamente tutte le potenzialità del nostro Paese. Il fatto che le politiche di riequilibrio territoriale messe in atto in passato abbiano conseguito risultati insufficienti rende certamente indispensabile un forte impegno di efficienza e di innovazione da parte delle istituzioni meridionali; ma questo impegno non sarebbe sufficiente senza il supporto di una strategia di politica economica nazionale mirata al superamento dei divari in termini di dotazione di infrastrutture, di investimento in capitale umano, di rendimento delle amministrazioni pubbliche e di qualità dei servizi pubblici", prosegue Napolitano. "In un contesto nel quale la crisi economica rende più difficile il bilancimento tra i diversi obbiettivi, cresce l’incertezza sulle risorse disponibili, e insieme con essa, l’incertezza del quadro di riferimento delle politiche per il Mezzogiorno.

Occorre reagire accrescendo la consapevolezza, nelle Istituzioni ed in tutta la società italiana, del carattere prioritario e della portata strategica dell’obiettivo del superamento dei divari tra Nord e Sud".

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