Le fughe del presidente della Camera dividono il Pdl

RomaDietro il paravento del galateo istituzionale Gianfranco Fini gioca la sua partita all’insegna del «ma-anchismo»: sostegno al premier ma anche critica dura; appoggio alla maggioranza ma anche smarcamento nitido; intesa con la Lega ma anche antagonismo deciso. L’obiettivo del presidente della Camera è preciso: scardinare l’asse Berlusconi-Bossi, apparso ancor più solido dopo lo schiaffo della Consulta.
Nelle ore immediatamente successive al verdetto della Corte costituzionale Fini s’è cucito la bocca: non un commento, non una dichiarazione. Un silenzio tombale che a molti è parsa l’ennesima presa di distanza dalla reazione, furente, del Cavaliere. E mentre i vertici del Pdl, tutti i ministri, e una valanga di parlamentari manifestavano la propria perplessità per la discutibile sentenza, da Montecitorio non si muoveva una mosca. C’è stata una telefonata tra i due nella serata di mercoledì, in cui Gianfranco ha espresso solidarietà a Silvio, ma nulla di più: «La maggioranza è solida e non cambia», gli avrebbe assicurato. Poi l’ira del premier, a caldo, e lo sfogo su Consulta e Quirinale davanti alla telecamere. Quella stoccata al capo dello Stato, a Fini, non è piaciuta per niente. Così, soltanto ieri s’è fatto sentire «ufficialmente». Così: «L’incontestabile diritto politico di Silvio Berlusconi di governare, conferitogli dagli elettori, e di riformare il Paese, non può far venir meno il suo preciso dovere costituzionale di rispettare la Corte costituzionale e il capo dello Stato». Una bacchettata all’amico Silvio, irritato tanto dai giudici della Corte che dall’inquilino del Colle. A difesa dei quali è subito accorso Fini con il suo istituzionalissimo monito: Quirinale e Consulta non si toccano.
Immancabili gli applausi del Pd, Franceschini in testa. Tensione alle stelle, insomma. Mentre Gasparri cercava di smussare: «Giustamente Fini s’è espresso così per il ruolo che ricopre. Io ho un ruolo diverso e critico la sentenza», Bondi pungeva: «Fini non capisce la gravità della situazione attuale. È ineccepibile dal punto di vista formale ma le posizioni freddamente istituzionali, a contatto con una realtà incandescente, rischiano di tradire una forte assunzione di responsabilità dal punto di vista politico e istituzionale». Come un elastico: le posizioni tra Fini e Berlusconi si avvicinano e si allontanano di continuo.
Non manca la ruggine neppure con la Lega. Perché se è vero che Fini e Bossi, prima della sentenza, concordavano che avrebbero evitato ogni tentazione di voto anticipato, è vero anche che, ieri, Fini è tornato a punzecchiare il Carroccio in materia di immigrazione: da mesi terreno di scontro tra Gianfranco e Senatùr.

«Un bambino che nasce o arriva qui da piccolo e frequenta le scuole anche a 11 anni è meritevole di avere il titolo di cittadino senza dover aspettare il 18° anno di età», ha detto a Torino il presidente della Camera. Vero e proprio fumo negli occhi dei leghisti, funzionale al tentativo finiano: ridimensionare il Carroccio.

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