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«Fuitina» d’amore della capretta Nasce una razza col super-latte

Lassù, tra i monti della Lessinia, antico territorio dei Cimbri, avvenne quell’impensabile «fuitina d’amore», dalla quale è nata la capretta «fasoleta», una supercapra dal latte copioso e prelibato.
Accade tre primavere addietro nella malga Faggioli a Erbezzo, nota nel veronese, e non solo, per i suoi prodotti a base di latte caprino. Una stalla d’avanguardia, sei anni d’attività, 270 capi dell’animale che l’uomo addomesticò tra i primi, circa diecimila anni orsono, scoprendone subito i doni di natura, dal latte alla carne. Nelle prime tre primavere le capre della malga erano solo di razza camosciata delle Alpi, di tradizionale colore marroncino. Per elevare la qualità della produzione, Angelo Sartori, responsabile della stalla, acquista ad un certo punto in Germania alcuni esemplari di nubiam. Bianchi, orecchie lunghe e pendenti come le pecore, carattere mite, provengono dalla terra madre di tutte le terre, l’Africa.
«Le femmine sono timide, riservate. Pensavamo così anche del maschio, ma ci siamo sbagliati. Per fortuna!» esclama Sartori. In una notte primaverile del 2009 il maschietto nubiam dall’aspetto di pecorella lunare, innocente fugge dal recinto, attirato da tre femmine dell’ovile delle camosciate. Ingravida le caprette marroncine e ora, a tre anni dalla fuitina, sono venti gli esemplari di «fasoleta», versione veneta del nome Faggioli.
«Continuiamo ad accoppiare il maschio africano con la femmina delle Alpi. L’incrocio è una capra dal colore scuro ma dalle orecchie pendenti, che dà un tipo di latte più ricco di proteine e di grassi. Vorremmo arrivare a fare lo yougurt, ma per ora, essendo ancora pochi i nuovi esemplari, ci stiamo limitando ai formaggi».
La spiegazione siciliana della fuitina è «a reazzioni ca potta n’individuu abbannuari u priprio ammienti - leggi ambiente, n.d.r. - e poti esseri usata pi la fuitina d’amuri». Fuga d’amore della Trinacria, culla mediterranea della passione, per una capretto africano, prelevato dalla Germania, e perdutamente innamorato di tre camosciate delle cime dell’alto Veneto. La «fasoleta», che nella zona qualcuno ha già denominato per scherzo, parafrasando un celebre verso di Umberto Saba, «la capra dal viso leghista», visto il vento politico che spira in quelle lande, in realtà è una creatura frutto di un caso, su cui convergono molteplici e diversificate tradizioni. Forse per questo è tanto forte, tenace, lattifera.
Se la fuga che l’ha fatta venire al mondo è di mito siculo, i derivati del suo latte portano nomi cimbri, perché in mezzo a questi prati è risaputo che non ci fosse cimbro senza una capra, al punto che nella lingua cimbra ci sono ben quattro nomi per significare l’animale: «gital», capretta; «goaz», capra adulta; «kitz», capretto; «ponk», caprone. La malga Faggioli ha attribuito i vetusti vocaboli ad alcuni particolari tipi di formaggi.
«Non è semplice portare avanti la nuova razza, ma stiamo facendo il possibile per moltiplicarla. Dà risultati veramente eccezionali. Il suo latte fa molto bene alla salute» conclude Sartori.

Ma soprattutto il suo nome si è già diffuso giù dai monti, in pianura, in città, dentro le mura di Shakespeare, di Romeo e Giulietta, antesignani della fuitina, come un tenero mito che si racconta ai tavoli dei ristoranti, dove le capre non donano solo il sapore, ma anche il suono di una leggenda d’amore dagli zoccoli scalpitanti.

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