«Il fuoco ci inseguiva tra le bombe»

Alternano crisi di pianto a bisogno di conforto: «Ma entro dieci giorni staranno bene». L’ambasciatore egiziano chiede scusa con una rosa

Anna Maria Greco

da Roma

I pantaloncini corti e i sandali infradito sono quelli messi in valigia con la gioia di andarsi a godere il sole del Mar Rosso, ma a rovinare tutto ci sono le vistose bende bianche che coprono le gambe ustionate di Luca Bosano e Raffaella Bianchi. I due fidanzati della provincia milanese scendono dal Falcon 900 del Sismi sulla pista dell’aeroporto di Ciampino, con indosso identiche magliette nere militari, con stemmi tricolori. Probabilmente, hanno sostituito quelle loro strappate e bruciate. Perchè anche le braccia hanno delle bende.
Venticinque anni lui, una chioma di ricci neri, e ventiquattro lei, occhialini e coda di cavallo castana. Un’esperienza terribile alle spalle, quella del sanguinoso attentato di Dahab. Ma non appaiono troppo scossi, i due giovani. Sorridono tranquillizzanti e minimizzano sulle loro «scottature». La mamma di Luca, invece, non nasconde la commozione e abbraccia stretto il suo ragazzo alla fine della scaletta, insieme al padre, al fratello e alla sua fidanzata. Sono le 18,25 e dietro di loro compare il terzo ferito, vestito di beige. Preferisce non far sapere il suo nome, ma risiede a Montecarlo: ha il braccio sinistro e il piede destro fasciati e zoppica vistosamente.
«Erano le 19,10 - ha raccontato Raffaella, prima di partire da Sharm El Sheik - e alla fine della gita stavamo raggiungendo la nostra jeep. Abbiamo sentito una prima esplosione, ma non pensavamo ad un attentato. Subito dopo, però, c’è stata la seconda e abbiamo realizzato. Abbiamo iniziato a correre, ma la terza è stata alle nostre spalle». «Non ci ha preso in pieno - aggiunge Luca - , assolutamente, ma la fiammata ci ha scottato le gambe. C’era tanto fumo e continuavamo a correre verso il nostro punto di ritrovo, senza mai voltarci». Le ustioni, assicurano loro stessi, non sono gravi. L’importante, sembrano dire, è essere tornati a casa tutti interi. C’è poco da fare gli eroi.
L'ambasciatore d’Egitto in Italia, Ashraf Rashed, offre a ciascuno dei tre feriti una rosa bianca. Un simbolo di solidarietà, da parte del rappresentante del Paese che, incolpevolmente, è stato teatro del loro dolore e della loro paura. Luca e Raffaella s’infilano in una prima autoambulanza e il terzo ferito sull’altra. Partono per l'ospedale Sant'Eugenio, specializzato nella cura delle ustioni. Quelle di Luca e Raffaella sono di primo e secondo grado, diranno i medici, ma per evitare il rischio di infezioni ci vuole il ricovero e la prognosi è di 10 giorni. «Le loro condizioni sono discrete, ma hanno subito anche un trauma psicologico, con crisi di pianto e poca voglia di comunicare, alternata al bisogno di farsi coraggio». Il terzo ferito, con una «contusione distorsiva importante», viene sottoposto anche a radiografie.
Prima di tornare a casa i tre dovranno fornire le loro testimonianze ai magistrati. La procura di Roma ha infatti aperto un fascicolo sull’accaduto. Se ne occupa il responsabile del pool antiterrorismo, Franco Ionta, che procede per strage con finalità di terrorismo ed ha già incaricato la Digos di sentire i giovani rimpatriati.
Si lavora a Roma, ma ancor più in Egitto. «Faremo tutto il possibile - assicura l’ambasciatore Rashed - per combattere il terrorismo e per garantire sicurezza nel nostro Paese. I criminali che hanno ispirato l'attentato saranno presto assicurati alla giustizia». Rashed dice di essere molto dispiaciuto e rattristato per quello che è avvenuto a Dahab e di condannare, naturalmente, l’atto terroristico. Ma aggiunge un appello, per mitigare i contraccolpi sul turismo così importante per l’Egitto: «Voglio dirvi di continuare a visitare il nostro Paese perché abbiamo una vita normale. Oramai, non c'è nessuna società o Paese immune dal terrorismo e dal fondamentalismo. Per questo occorre combattere insieme, tutta la comunità internazionale, per sconfiggerlo». Ma per quale ragione scegliere come obiettivo proprio una meta dei più giovani, degli amanti del surf e delle immersioni? «Non so - risponde l’ambasciatore -. Perché Londra? Perché Madrid? Perché Dahab?».

E fa rabbrividire l’accostamento delle spiagge alternative scoperte dai «figli dei fiori» negli anni ’70, nel primo dei Paesi musulmani moderati, con le due capitali occidentali drammaticamente colpite dai fanatici dell’Islam.

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