Fuoco contro Sos Racket e Usura. Manzi: "Basta, getto la spugna"

L’attentato: all’alba incendiato il furgone del presidente a Caronno Pertusella Impossibile ipotizzare il mandante: troppi i banditi denunciati in questi anni

Dopo l’ultimo attentato, Frediano Manzi, presidente di Sos Racket e Usura, getta la spugna: «Non ci sono più le condizioni per andare avanti, le istituzioni non ci sostengono. Sciolgo l’associazione». Impossibile al momento fare ipotesi. «In 13 anni abbiamo denunciato tali e tante situazioni di illegalità che non riesco a immaginare chi possa essere il mandante».
L’ultima intimidazione è arrivata ieri mattina poco prima delle 7. A quell’ora infatti uno dei suoi quattro dipendenti - Manzi commercia in fiori - è andato a prendere il furgone parcheggiato davanti al magazzino di Caronno Pertusella ed è stato investito da una fiammata. Qualcuno aveva infatti aperto la cabina, svuotato una tanica di benzina e appiccato il fuoco, alimentato poi dall’aria entrata con l’apertura della portiera. Il pronto intervento dei vigili del fuoco ha circoscritto i danni: «Non più di 5-6mila euro, anche se avere il mezzo fermo nella settimana di San Valentino mi crea molti problemi». Ma è soprattutto il senso di scoramento: questo infatti è il terzo attentato in pochi mesi. A settembre vennero sparati cinque colpi di pistola contro un suo chiosco di Parabiago, mentre ai primi di dicembre un bomba carta dentro un altro suo esercizio fu fatta brillare dagli artificieri.
Manzi, 50 anni, sposato e padre di quattro figli, 15 anni fa fu a sua volta vittima di usura ed estorsione. «Avevo bisogno di soldi e mi rivolsi agli strozzini. Fui vessato, cercarono di portarmi via l’attività, ma non ho ceduto. Però ho capito la solitudine di chi finisce in questo ingranaggio». Per questo fonda l’associazione Sos Racket e Usura e per un paio d’anni è costretto a girare sotto scorta. «Poi ho rinunciato, non sarei riuscito ad avvicinare le altre vittime presentandomi con un nugolo di poliziotti».
E fioccano le inchieste. La prima è contro un gruppo di pregiudicati che stazionano stabilmente davanti al Monte di Pietà, impegnati in attività di usura e ricettazione. Poi arriva la denuncia contro Nitto Santapaola che stava cercando di riciclare denaro sporco nei casinò svizzeri. Un impegno riconosciuto con il Premio Isimbardi consegnato a dicembre dal presidente della Provincia, Guido Podestà.
Il tempo di sorridere in posa, poi via a proseguire l’ultima sua battaglia, quella contro il racket delle occupazioni abusive delle case Aler. L’estate scorsa infatti aveva denunciato un’organizzazione attiva in via padre Monti che, dietro compenso, segnalava gli alloggi sfitti in cui entrare illegalmente. E a novembre vennero arrestati Giovanna Pesco, 57 anni, il suo compagno Omar Moreschi, 29, e la figlia Anna Cardinale, 39. Ma è stata subito sostituita da un’altra famiglia mafiosa sulla quale, dopo aver lavorato tutto gennaio, Manzi ha recentemente presentato una dettagliato dossier in Procura.
Ma, accusa Manzi, spesso la sua attività si è scontrata con le istituzioni, dagli investigatori che mal sopportavano la sua «concorrenza», agli enti locali che non hanno mai accolto la sua richiesta di una sede «sicura» per Sos Racket e Usura.

E adesso l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. Anche se in queste ore sono già arrivati attestati di stima e solidarietà dal vicesindaco Riccardo De Corato, e dai consiglieri comunale, Carmela Rozza, e provinciale, Roberto Caputo, del Pd.

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