La furbata del Professore

Francesco Damato

Ai parlamentari e dirigenti dei partiti d’opposizione che hanno mostrato a botta calda una certa ammirazione per le misure «liberalizzatrici» adottate dal governo su taxi, farmacie, assicurazioni, banche e tariffe professionali, rammaricandosi di non averle viste prendere da Silvio Berlusconi nella scorsa legislatura, vorrei chiedere di non scambiare per coraggio la flaccida furbizia di Romano Prodi. Il quale, peraltro aiutato dalle scomposte reazioni dei tassisti, che protestano appiedando senza preavviso i loro incolpevoli clienti comuni, non certo le varie nomenclature protette nelle solite auto blu, ha voluto solo dirottare l’attenzione degli elettori moderati incautamente caduti il 9 aprile nella sua trappola elettorale. E che si ritrovano adesso un governo sempre più ostaggio della sinistra antagonista, come dimostrano le contorsioni in politica estera prodotte dalla concorrenza fra i comunisti di Fausto Bertinotti e di Oliviero Diliberto. Persino Eugenio Scalfari,pur cogliendo al volo l’occasione per tessere domenica scorsa sulla sua Repubblica elogi in qualche modo riparatori delle durissime critiche formulate all’indomani del ritorno di Prodi a Palazzo Chigi, non ha potuto negare il valore più simbolico che reale delle «liberalizzazioni» appena decise.
Esse hanno infatti toccato settori solo «marginali», peraltro sfuggendo - anche se Scalfari lo ha ignorato - alla pratica della cosiddetta concertazione tanto decantata dal presidente del Consiglio. Evidentemente chi non è protetto dai grandi e politicizzatissimi sindacati, a cominciare dalla Cgil, non ha diritto ad alcuna forma di contrattazione o consultazione. Quello fornito da Prodi e dalla sua squadra, che verrebbe la voglia di chiamare squadraccia se non si fosse trattenuti dalla paura di buttare benzina sul fuoco di certe scomposte forme di protesta, è un modello veramente strano di democrazia, in cui si alternano pulsioni autoritarie e cedimenti verticali secondo la debolezza o la forza degli interlocutori.
Non ha certamente torto Gianfranco Fini quando rimprovera a Prodi di avere trovato il coraggio d'intervenire «solo sull’anello più debole della catena» dei privilegi, risparmiando «i grandi monopoli» che da sempre, pubblici o privati che siano rimasti o diventati, fanno di noi consumatori e utenti carne da macello.
Mi piacerebbe però che Fini ricordasse questa verità anche al suo collega di partito Gianni Alemanno, fra i primi a compiacersi delle misure adottate dal presidente del Consiglio e a dolersi delle mancate occasioni del governo precedente. Al quale proprio lui, con l’aiuto di altri ministri e partiti o correnti del centrodestra, pur di non compromettere gli stanziamenti destinati alla corporazione delle guardie forestali calabresi e simili, impedì di apportare tagli alle imposte sui redditi nella misura proposta da Berlusconi.
A proposito di quei tagli, Prodi contestò dall’opposizione la possibilità, pur sperimentata già all’estero, che riducendo le imposte si liberassero risorse per lo sviluppo e si producessero in prospettiva maggiori entrate.

I dati sull’autotassazione di giugno hanno dato ragione alla politica fiscale di Berlusconi, non certo a Prodi, che però ha potuto trarne vantaggio politico riducendo l’entità della manovra di aggiustamento dei conti di quest’anno, senza avere naturalmente il coraggio, o solo l’onestà, di ammetterlo.

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