Furto da due milioni nel regno degli orologi

Non erano in molti a sapere che al secondo piano di corso Venezia 24 una cassaforte nascondeva un piccolo tesoro: un paio di milioni in preziosi orologi. Un punto debole che potrebbe servire ai carabinieri per acciuffare i ladri che durante il fine settimana hanno svaligiato la Geneve Master Watch, grossisti di costosissimi cronografici svizzeri. Tanto che poche ore dopo gli inquirenti esprimono già quel che in gergo viene definito il «cauto ottimismo» per quanto concerne lo sviluppo delle indagini.
Un colpo in ogni caso portato a termine da fior di professionisti che, lavorando di fiamma ossidrica hanno avuto ragione di un grosso e robusto forziere, lasciando con il classico «palmo di naso», Paolo Salluzzi, consulente di fiducia della famiglia. Il titolare è infatti uno storico commerciante di origini siciliane e risiede a Nyon, cittadina svizzera tra Ginevra e Losanna, insieme al figlio, amministratore di una società di commercio in gioielli.
«Erano circa le 11.30 quando, insieme a un dipendente siamo andati ad aprire gli uffici, lasciati venerdì sera verso le 20 e poi rimasti chiusi durante il fine settimana e lunedì. Il tempo di appoggiare la chiave e ci siamo accorti che la porta era solo accostata e la serratura forzata. Siamo andati subito alla cassaforte e l’abbiamo trovata aperta e vuota. Dentro c’erano un centinaio di orologi, Franck Muller, Pierre Kunz e Custos». Sul loro valore Salluzzi è un po’ vago, ma si tratta di veri gioielli che non costano meno di 20mila euro l’uno. E si fa presto a far tornare i conti.
C’è un conto invece che non torna: in pochissimi sapevano del contenuto della cassaforte. La Geneve infatti non è una gioielleria aperta al pubblico, dunque esposta e conosciuta da un numero imprecisato di clienti, bensì rifornisce a sua volta i punti vendita più prestigiosi. Poco probabile dunque che qualche malvivente abbia potuto «notare» per caso l’attività della società. Senza contare che solo un paio di mesi fa gli uffici si erano spostati dal 41 al 26 di corso Venezia, due locali di 60 metri quadrati, raggiungibile dopo aver varcato un elegante portone d’ingresso, attraversato un cortile e salite quattro rampe di scale. Altri dettagli sicuramente noti ai ladri: la porta d’ingresso non era blindata, non c’era antifurto né un sistema di videosorveglianza in cortile, sulle scale e negli stessi uffici.
Facile in questo caso ipotizzare una talpa all’interno della stessa piccola società oppure tra le aziende che abbiano lavorato per loro, come la ditta che ha sistemato l’ufficio all’inizio dell’anno o quella incaricata di svolgere le pulizie. «Persone di fiducia» si limita a risponde Salluzzi.


Ma tutti questi elementi messi insieme portano a restringere molto il campo investigativo, tanto che qualcuno già ieri si è lasciato sfuggire «abbiamo dei sospetti» confermati da una certa tranquillità dei carabinieri. Insomma presto potrebbe esserci un clamoroso colpo di scena.

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