Dopo la fusione attenti a regole e costi

L’acquisto da parte degli inglesi della Borsa italiana, per circa 1,6 miliardi di euro, è un’ottima notizia. I mercati finanziari, sia pure nati nella Penisola, non sono esattamente stati negli ultimi anni uno dei nostri fiori all’occhiello. Le piattaforme di contrattazione dei titoli sono di fatto dei semi-monopoli naturali. Fare loro concorrenza partendo da zero è difficile. La piattaforma italiana ha avuto due grandi atout. La prima, paradossalmente, è l’entità gigantesca del nostro debito pubblico. Tanto grande da far nascere un mercato secondario dove scambiare all’ingrosso i titoli di Stato (l’Mts controllato proprio dalla Borsa) che è presto diventato il più importante d’Europa e il più efficiente. Il secondo vantaggio è nato dalla struttura azionaria della Borsa spa. Più che di una società, la sua anima era quella di un consorzio. Le Banche ne avevano pezzi di capitale importante ed erano più attente all’economicità dei servizi che la piattaforma forniva che alla redditività del capitale che vi avevano impegnato. La Borsa è riuscita nel piccolo miracolo di applicare, secondo un’indagine della Commissione Ue, le commissioni più basse d’Europa, ma nonostante ciò avere un margine netto del 38 per cento. Fenomenale, visti i costi, anche se inferiore rispetto ai propri concorrenti.
Ciò che a questo punto succederà, se l’operazione dovesse andare a buon fine, è che Unicredito-Intesa (insieme saranno i primi azionisti del nuovo più grande mercato) non potranno più difendere quest’anima consortile del mercato (che peraltro a loro direttamente interessava poco) ma spingeranno con gli altri azionisti per un aumento della redditività: e dunque tariffe più alte sulle transazioni. I primi a pagarne le conseguenze saranno i sistemi di trading online che non è detto riescano a traslare sugli utenti i maggiori costi.
Una buona macchina, con degli pneumatici da Formula 1, non riesce a fare buoni tempi se il pilota non ingrana bene le marce. Alla fusione delle Borse si deve dunque associare un sistema di regole locali che favoriscano gli investimenti mobiliari.

Non è un caso se le Borse americane hanno inziato a corteggiare quelle europee: le dure regole e controlli burocratici introdotte dalla Serbanes in Usa hanno compromesso l’efficienza di questi mercati, che hanno così iniziato a guardare altrove. Strappare la Borsa italiana ai criteri e alle satrapie domestiche le potrà far bene.

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