Fusione tra la Solvay e la Fournier attive nell’area del metabolismo

da Roma
Un matrimonio che fa bene alla ricerca farmaceutica. In particolare, a quella che combatte la sindrome metabolica e il diabete, la fibrillazione atriale e l'ipertensione, lo scompenso cardiaco e la trombosi, l'insufficienza renale e l'obesità. Si tratta della fusione tra la Solvay Pharmaceuticals e l'azienda farmaceutica francese Laboratoires Fournier. Partita nel 2005, l'operazione è ora completata anche in Italia, con l'incorporazione di Fournier Pharma Spa in Solvay Pharma Spa, la filiale italiana di Solvay Pharmaceuticals.
Alla presentazione a Roma delle «nozze», la presidente della Società italiana di cardiologia Maria Grazia Modena, ha detto che «la fusione di queste due aziende porterà sicuri benefici nella ricerca e nello studio dell'area cardio-metabolica». Come ha spiegato Leo van der Geer, amministratore delegato di Solvay Pharma Spa, la fusione «rafforza la presenza di Solvay Pharmaceuticals nel settore cardio-metabolico». Un’area alla quale, nel 2005, il gruppo ha destinato 95 milioni di euro in ricerca e sviluppo, circa il 27% del totale.
Nell’incontro organizzato dall’azienda per spiegare i termini dell’operazione, si è spiegato che nei primi 9 mesi del 2006, Solvay Pharmaceuticals ha fatturato a livello mondiale 1.934 milioni di euro, con un indice di crescita del 24 per cento e nello stesso anno l'azienda ha investito 413 milioni di euro in ricerca, cioè il 16 per cento delle vendite.
Per Leo van der Geer anche l'Italia recita un ruolo importante in questo scenario. Lo dicono i dati: nel 2006 Solvay Pharma Italia Spa ha superato i 100 milioni di euro di fatturato ed è ora fra le prime 30 aziende farmaceutiche del nostro Paese.

In particolare, l’impegno è nella risposta alla crescente domanda di salute nell'area cardio-metabolica con l'offerta di due molecole: l' eprosartan e il fenofibrato. Due studi (Moses e Field) ne hanno dimostrato i risultati: nel primo è stata accertata la capacità di eprosartan di ridurre del 25 per cento il rischio di nuovi eventi cerebrovascolari.

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