UN FUTURO PIENO DI DEBITI

Dopo le parole della Corte dei conti arrivano quelle del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. L’accusa è la stessa: troppe entrate e poco sviluppo. D’altro canto la Finanziaria di oggi sembra la ripetizione della manovra del ’96. Quasi uguale per quantità (oltre 30 miliardi di euro) e per qualità. Anche nel ’96 fu aumentata la pressione fiscale e anche nel ’96 si toccò il Tfr dei lavoratori con un prelievo straordinario. Ed anche in quella occasione l'Italia diventò il fanalino di coda in Europa per tasso di crescita. Se riuscimmo ad entrare nella moneta unica nel ’99 lo dovemmo solo alla felice congiuntura del crollo internazionale dei tassi d’interesse e di un’accorta politica monetaria della Banca d’Italia che in tre anni ci fece risparmiare 75 miliardi di euro di spesa per interessi. Oggi i tassi sono in controtendenza. Senza sviluppo è lo stesso risanamento ad essere messo in discussione. Se l’economia italiana, ad esempio, dovesse crescere nel 2007 al 2,3 per cento (un punto in più delle previsioni e in linea con la media dei Paesi della zona euro) a parità di spesa pubblica il rapporto deficit-Pil migliorerebbe di almeno lo 0,5 per cento. In questo caso s\arebbe sufficiente una correzione della spesa più modesta e più praticabile per innescare il processo virtuoso di più crescita-meno deficit. Ed invece questa Finanziaria fa una scelta esattamente contraria.
Quando si parla di risorse per lo sviluppo si fa essenzialmente riferimento al cuneo fiscale, alle infrastrutture e all’innovazione e ricerca. Il cuneo fiscale riduce di appena il 2 per cento il costo unitario per unità di prodotto che rappresenta quello che in ogni anno il nostro sistema produttivo perde in termini di competitività rispetto agli altri Paesi europei. Utile, dunque, sì, ma di breve durata. Ed è sconcertante il tentativo di scambiarlo con il Tfr. Le risorse per le infrastrutture sono prese quasi tutte a debito perché finanziate con il prestito forzoso del Tfr per circa 6 miliardi di euro. E questo debito, come dice giustamente Draghi, costa più di un’emissione di Bot perché mette sulle spalle della finanza pubblica la rivalutazione del Tfr (poco più del 3 per cento annuo). Debito su debito, insomma. I pochi tentativi di finanziare ricerca e innovazione sono inoltre appesantiti da un lato burocraticamente e dall’altro da risorse insufficienti a creare un massiccio recupero di produttività nel corso dei prossimi tre-cinque anni. Ed è sempre il governo ad ammetterlo implicitamente, prevedendo nel biennio 2009-2011 una crescita di appena l’1,6-1,7 del Pil. Il resto delle risorse sono quelle impegnate per il rinnovo dei contratti pubblici, che tutto sono tranne che una spinta allo sviluppo.
La filosofia di questa manovra economica sembra essere quella di un Paese che non crede più a se stesso e che, dovendo ridurre il proprio disavanzo per un vincolo europeo, sceglie la facile strada delle tasse e dell'egualitarismo verso il basso, ponendo sulle spalle della propaganda una coesione sociale che sta invece per esplodere. La marcia dei professionisti è solo la punta di un più vasto e diffuso malcontento che spingerà sempre di più tutti a rinchiudersi nelle proprie tutele, piuttosto che a lanciarsi in un New Deal di speranza operosa e di crescita competitiva.

Come tutti sanno, l’economia vive molto di aspettative e il messaggio che questa Finanziaria dà è quello di un grigio futuro pauperistico in un'Europa che, al contrario, sta riprendendo, anche se con fatica, la strada dello sviluppo.

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