da Milano
Un tonfo così il colosso di Fairfield non lo subiva da almeno 20 anni. Del resto, non si bruciano 44 miliardi di dollari di ricchezza borsistica in poche ore, quante ne sono bastate a Wall Street per far crollare di oltre il 12% i titoli di General Electric, terza società al mondo per capitalizzazione dopo Petrochina ed Exxon-Mobil.
Un fuggi-fuggi generale, che ha finito per deprimere lintera Borsa di New York (-2% il Dow Jones, -2,6% il Nasdaq) e i listini Europei (perdite superiori all1%, con Milano giù dell1,03%) già maldisposte dalla discesa ai minimi da 26 anni della fiducia dei consumatori Usa, provocato dallannuncio-choc sui conti di Ge.
Cifre brutte, quante inattese, che sembrano riflettere il momento delicato della congiuntura statunitense, scossa dalla crisi dellimmobiliare, dal credit crunch e dalla bufera che si è abbattuta negli ultimi mesi sui mercati finanziari. Il gruppo ha chiuso il primo trimestre con un utile netto calato del 6% a 4,3 miliardi, ovvero a 0,43 dollari per azione (0,44 un anno fa). Gli analisti stimavano invece un risultato netto di 51 centesimi per azione. La frenata delleconomia si è insomma fatta sentire, con la crisi di liquidità che ha spinto giù i profitti soprattutto nelle divisioni finanziaria e commerciale sottraendo 5 cent allutile per azione. Ma, ancor peggio, Ge ha anche abbassato le stime per lintero esercizio, prevedendo un utile per azione tra 2,2 e 2,3 dollari e mettendo in conto un calo tra il 5 e il 10% degli utili dei servizi finanziari. Lutile per azione 2008 a parità di perimetro dovrebbe essere di 2,42 dollari, contro le stime degli analisti di 2,43 dollari.
«Odiamo deludere gli investitori - ha detto il numero uno del gruppo, Jeff Immelt -. Non fa parte della nostra cultura». Ge ha sofferto «la straordinaria crisi dei mercati finanziari vissuta a marzo che ha ostacolato la possibilità di completare la cessione di alcuni asset e determinato maggiori perdite del valore di mercato e un forte deterioramento».
Il gruppo puntava infatti sulla vendita di alcune attività finanziarie, come quella legata al business delle carte di credito negli Usa e quella del credito al consumo in Giappone. Cessioni che non sono invece andate in porto proprio a causa della crisi.
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