G8 Ma che c’azzecca Tonino con Di Pietro?

A un certo punto del Brindisi di Girella si legge: «Barcamenandomi / tra il vecchio e il nuovo / buscai da vivere / da farmi il covo». E siccome sembra proprio di sentir parlare il matamoros di Montenero di Bisaccia, la poesia del Giusti potrebbe tranquillamente cominciare, con una piccola, insignificante modifica, così: «Di Pietro (emerito / di molto merito) / sbrigliando a tavola / l’umor faceto / perde la bussola./ E l’alfabeto». Che il Nostro abbia perduto - se mai l’avesse padroneggiato - l’alfabeto è storia vecchia, buona solo per qualche battutista di cabaret. A dir la verità anche la bussola ogni tanto se la scordava da qualche parte, però, da quando il buscarsi da vivere ha preso l’aire e il covo s’è fatto antro di Alì Babà, Tonino Di Pietro sembra aver deciso di fare comunque a meno dello strumento che indica la rotta. E dunque di navigare alla busca, dirigendo dove lo guida lo suo particolare, che male non sarebbe se egli non fosse, inopinatamente, un onorevole rappresentante del popolo sovrano.
Fossimo stati noi a prenderlo in castagna per l’ennesima giravolta - invocare a gran voce la commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti di Genova, questo dopo averla affossata al tempo del governo Prodi - i sinceri democratici avrebbero reagito con un’alzata di spalle. La solita provocazione delle forze oscure della reazione, avrebbero detto. Ma bollare Di Pietro da sepolcro imbiancato, ovvero da grandissimo ipocrita, falso, sleale e infingardo, sono due mammasantissima della sinistra tosta e intransigente: Vittorio (il dottor Vittorio) Agnoletto che fu nientemeno che il portavoce del Genoa Social Forum e Francesco Caruso, ex (vuol dire, in questo caso, trombato) parlamentare di Rifondazione comunista e tuttora voce tenorile del movimento no-global. Costoro ricordano, schiumanti di rabbia, che il 30 ottobre dello scorso anno fu lui, Di Pietro, a far mancare i voti necessari per la costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul G8 di Genova eppure voluta, messa addirittura a programma, da Romano Prodi in persona.
Ufficialmente - e noi all’ufficialità ci attendiamo - a far cambiare idea da così a così all’emerito di molto merito pare sia una considerazione di taglio enterogastrico. Questa: «Chi è andato a fare l’irruzione alla Diaz non ci è andato perché si è alzato col mal di stomaco, ma perché qualcuno ce lo ha mandato». Niente da aggiungere, siamo liberali e dunque rispettosi vuoi delle opinioni, vuoi - ora uso una parola grossa - dei ragionamenti altrui.

Resta il fatto che a soffrirne è una delle virtù che distingue l’uomo politico dal ciarlatano, soprattutto se il primo se la tira da capopopolo: la coerenza di pensiero e di azione, che poi è il sigillo dell’onestà intellettuale. E non è certo tirando in ballo il Digestivo Antonetto che Di Pietro può illudersi, stavolta, di farla franca.

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