«Per Gala, Salvador era effeminato. Ma se ne innamorò»

Fu nel suo atelier in rue La Boétie che in un giorno d’inverno del 1932 Picasso mi presentò i Dalí. Salvador era giovane e bello: volto emaciato dal pallore olivastro, ornato di baffi sottili; occhi grandi da allucinato, sfavillanti di intelligenza e di uno strano fuoco; capelli lunghi da gitano, grondanti brillantina, addirittura spalmati, come appresi più tardi, di vernice per quadri. Il colletto a sottili righe blu e la cravatta, poco più di un cordino rosso, tradivano il suo amore per l’originalità. Gala, di età indefinibile, vestita come un ragazzo, era snella e bruna, e lo sguardo dei suoi occhi castani, che secondo Paul Éluard «perforava i muri», conferiva al suo viso un’attrazione singolare. La «musa surrealista», dapprima ispiratrice di Max Ernst, era divenuta in seguito moglie di Paul Éluard, sino al fatidico viaggio a Cadaqués, sulla Costa Brava, dove aveva conosciuto Salvador. «Ci siamo fulmineamente, reciprocamente innamorati» racconta Dalí. «È stata l’esperienza più sconvolgente della mia vita». Il corpo flessuoso, il misterioso fascino slavo di quella donna di origine russa, e la sua intelligenza, l’avevano soggiogato.
In realtà la prima impressione che il giovane pittore catalano aveva suscitato in Gala era stata disastrosa. L’aveva giudicato insopportabile, persino odioso e, ancor peggio, terribilmente effeminato: perle false al collo, bracciali ai polsi, camicia di seta con maniche a sbuffo aperta sul petto, gemelli di zaffiro. E, per ottenere un irresistibile sguardo alla Rodolfo Valentíno, gli occhi ombreggiati di piombo. E tuttavia bastarono pochi giorni per trasformare l’avversione di Gala in una passione irresistibile. Per sua stessa ammissione, Dalí era stato impotente fino all’età di venticinque anni e conobbe la vita sessuale solo con la «Beatrice della sua vita». Fu senza dubbio l’assillo dell’impotenza a suggerirgli quelle grucce, quelle forche a sostegno di strane forme erotiche e falliche cadenti.
«Terrorizzato dall’idea di poter contrarre qualche malattia venerea» mi confidò Dalí «non tolleravo di aver rapporti con le puttane dei bordelli. Temevo che persino il loro fiato potesse contaminarmi.

Per questo mantenevo sempre una distanza di almeno due metri, limitandomi a godere della loro nudità. E inoltre mi regalavo film erotici di stupenda vitalità e precisione, perché ero, e sono, un voyeur: lo spettacolo mi appaga totalmente».

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