Galan contro tutti Se la prende pure con il Papa

Il governatore veneto lancia la sfida e minaccia lo strappo: «Federalismo subito o vado anch’io con la Lega»

Finora lo chiamavano il Doge, da domani bisognerà ossequiarlo come Sua Maestà perché, come il Re Sole disse che «lo Stato sono io», Giancarlo Galan proclama: «Il Nordest sono io». Che è il titolo del libro-intervista (scritto con il direttore della Nuova Venezia Paolo Possamai e pubblicato da Marsilio) presentato sabato scorso alla Fiera del libro di Torino. Quattordicesimo era il re Luigi, quattordicesimo è l’anno da governatore veneto del Galan Grande. Fra un paio d’anni il ciclo si chiude («non sono un satrapo orientale, la mia stagione volge al termine», ammette lui stesso) e attorno al presidente aleggia un venticello di smobilitazione.
Non siamo ancora al libro di memorie perché Galan, classe 1956, non è certo alla vigilia della pensione. Questa lunga conversazione arriva però subito dopo un opaco risultato elettorale per il Popolo della libertà in Veneto e dopo la forzata rinuncia a un dicastero romano. È il momento giusto per un bilancio ricco di ricordi personali, il riepilogo di una traiettoria professionale e politica, il lancio dei possibili successori, e anche per togliersi dalle scarpe sassolini e macigni.
Galan non è mai stato uno che le manda a dire. In questo è poco veneto, una razza che predilige le mezze parole e i bisbigli da sacrestia; per il resto è la quintessenza del popolo che governa: sgobbone ma bon vivant, testardo ma in fondo distaccato, orgoglioso e pragmatico. «Formigoni è bravo ma non può fare a meno della politica, io sì», dice senza escludere di dedicarsi in futuro alle sue vere, grandi passioni: le rose, la pesca d’altura, la figlia. E il distacco si misura da frasi che non sembrano proprio arrivare da un fedelissimo di Silvio Berlusconi, ex manager Publitalia (maneggiava il portafoglio Unilever, 200 miliardi di lire di vent’anni fa), stratega della nascente Forza Italia, deputato della prima ora fino alla plurielezione a Palazzo Balbi.
«Le mie priorità sono federalismo, infrastrutture, abbassamento della pressione fiscale. Se non lo capiscono, la prossima volta voterò Lega pure io». Altra bordata: «Mi attendo una legislatura di breve durata»: si riferisce a quella appena cominciata, perché «riscritte le regole bisogna tornare subito a votare». Ancora: «Calderoli è puerile e ristretto di mente». «Il federalismo fiscale viene prima della raccolta dei rifiuti a Napoli». Non si sottrae alle domande su quelli che l’hanno messo nel mirino, tutti di Forza Italia: Aldo Brancher per primo, «uomo senza qualità ma con tanti peccati», e poi i vari Carollo, Scajola, Cicchitto, Valducci e anche la Brambilla. Tra gli antipatici giganteggiano gli uomini di Chiesa, a partire da Benedetto XVI che a Lorenzago gli ha dato «una sensazione di formidabile irritazione», e poi il vescovo di Treviso Antonio Bruno Mazzoccato e quello della «sua» Padova, Antonio Mattiazzo, mentre il patriarca Angelo Scola, con la sua enorme cultura che incute soggezione, non è scevro da «comprensibili preoccupazioni terrene» tipo «restauri ciclopici cui far fronte con pubblici denari».
L’immagine più frequente è di pesci. Berlusconi è un delfino, Cacciari un pesce luna, Rutelli un pesce rosso, Bossi uno scorfano. Lui medesimo è «un tonno iper-liberale e iper-individualista» e il segreto della sua vita è aver fatto «come gli orsi: stare dove saltano i salmoni e cogliere le occasioni». È un’ammissione onesta: «Non sempre le qualità bastano a spiegare i successi professionali». E anche politici. «La mano benedicente di Berlusconi - confessa - mi ha spesso garantito l’incolumità».
Galan parla con affetto di Berlusconi e Dell’Utri senza nascondere gli scontri con entrambi. Le pagine più appassionate riguardano comunque il suo Veneto, «il primo della classe che non sarà mai simpatico perché arriva dalle retrovie e supera tutti», «imbelle carne da macello per chi vuole tritarci nei luoghi comuni»: parole profetiche, dopo la tragica aggressione di Verona. Per il Nordest lancia l’idea di una «Forza Veneto» sul modello sudtirolese: partito territoriale autonomo, né di destra né di sinistra, non organico al Pdl, che negozia le proprie richieste con chi è al governo di volta in volta. E dopo di sé non vede il diluvio, ma Andrea Riello, attuale presidente degli industriali veneti.

Lui, invece, non disdegnerebbe una bella poltrona di «presidente dell’Enel, delle Poste, di Sviluppo Italia o di una banca». E vorrebbe realizzare un sogno: «Ridurre la politica all’essenziale, e con essa la pletora infame di gente che ci campa sopra».

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