GALIMBERTINISMO

Roberto Farneti
Su un certo caso di cattiva condotta intellettuale ampiamente recepito da quotidiani, blog, e conversazioni a mezza voce tra literati è sceso finalmente il silenzio, ma un lieve strascico della cosa è rimasto. La cosa più istruttiva che si evince dal «caso Galimberti» è la reazione della casta filosofico-accademica, la quale, proprio quando non era più possibile tacere, è intervenuta per proporre coralmente tesi che vanno della venialità del peccato, al «così fan tutte», alle virgolette evaporate. Purtroppo per loro, il guastafeste si è materializzato sotto le vive e autorevoli spoglie di Roberta de Monticelli, che denunciava un intervento (quello di Gianni Vattimo, che filosofare è copiare) «spaventosamente al ribasso».
Un collega di Madrid, José-Maria Hernandez, racconta che un classicista e alto funzionario, Luís Racionero, accusato di plagio (12 pagine) da El Pais nel 2001, aveva avuto una pensata furbissima, ancora più astuta di quella di Vattimo: era ironia intertestuale, disse. Forse scherzava, ma dovette dimettersi dalla direzione della Biblioteca Nacional. Cosa c’entra l’intertestualità - e cioè quei rapporti fra testi, che sono fatti di allusioni, risonanze, parodie, pastiche e riprese sapienti - con la trasposizione pedissequa di interi passi da un libro di storia? La comunità accademica spagnola ha risposto: non c’entra niente.
Che cosa succede in Italia? Domenica 4 maggio Armando Torno ci ha proposto, a Radio 24, una puntata dedicata al plagio nella storia della musica in cui ospite d’onore era Umberto Galimberti. La morale di Torno è che il prestito inconfessato, o la citazione svirgolettata, sono in fondo la linfa della creatività musicale per cui, caro professor Galimberti, «l’incidente» che l’ha colpita nelle scorse settimane, se considerato nelle sue reali dimensioni, che sono quelle cosmiche della Grande Cultura (e non quelle terrestri dell’onestà intellettuale), altro non è che una testimonianza ulteriore del suo genio. Non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste... Il genio approfitta quindi del «senso antico di amicizia», liricamente evocato dal suo anfitrione, per raccontare il pietoso avvenimento di cui è stato vittima. E via quindi a screditare Salvatore Natoli, ignorare il caso di Alida Cresti, e riprendere da capo al fine l’aria della recensione fatta al libro della Sissa nel lontano 1999, recensione che sarebbe «entrata», sonnambulescamente, nell’Ospite inquietante. Che una pagina intera e delle note siano state aggiunte nel 2007, prima su Repubblica e poi nel libro, ovviamente non importa. Quel che importa è l’antico senso di amicizia...
In Spagna non c’è dunque bisogno di spiegare e rispiegare alla gente, cattedratici compresi, che quando si cita (magari in maniera allusiva, ma con rimandi appropriati), o si glossa, o si commenta, di persone ce ne sono due. Chi invece tapinamente copia, si presenta come uno, il primo e spesso il solo, a dire una cosa, al posto di un altro. Aristotele non ha mimato Platone. La filosofia occidentale e araba non ha riprodotto i due maestri, ha fatto l’esatto contrario: ha criticato, dialogato, ripensato e, appunto, commentato. Il commentatore può anche riprodurre/riportare, può condividere una teoria o un argomento, ma non per questo se ne impadronisce per far credere che sia sua. Lo studioso moderno che rispetta la legge scritta sulla proprietà intellettuale e quella non scritta del contratto accademico, si attiene a una deontologia minima: rispetta gli altri autori, e i suoi stessi lettori e non si abbassa all’uso di argomenti speciosi.
Naturalmente noi tutti possiamo commettere sviste, negligenze magari per difetto, non certo per eccesso, di memoria. Ma c’è comunque un limite che la «comunità scientifica» dovrebbe monitorare. Ma che cosa fa la comunità scientifica di fronte a una sentenza di tribunale e a collazioni di testi, che fanno impressione? Fa come a Radio 24, cioè razzola male, impugnando il Vattimo-pensiero secondo cui filosofare, come comporre musica, è copiare, ma predica bene, come si vede visitando il sito della rubrica Musica maestro (quella di Torno), dove si legge il seguente inciso: «Per ragioni legate alla normativa vigente sul downloading dei brani musicali, la trasmissione è ascoltabile solo in streaming, ossia in contemporanea con la diretta radiofonica». Normativa vigente? State parlando per caso di diritti d’autore? Magari anche dei vostri, cari colleghi?
La verità, forse, è che in Italia l’Università si accontenta di standard - merito, etica, competitività - che sono chiaramente al di sotto di quelli che vigono altrove. Negli Stati Uniti, tanto per fare un altro esempio, il plagio e l’auto-plagio (da parte di studenti o professori) sono considerati una minaccia per la credibilità di un titolo di studio. A Ucla, un copia/incolla come quello operato alle spese di Natoli, Cresti, Sissa ecc. varrebbe a uno studente una denuncia dettagliata al decano degli studenti, un’inchiesta e una sospensione. Scorrendo gli articoli usciti sulla stampa, una collega americana esclama, stupefatta: «Ma questo è un professore che insegna ad undergraduates?». Altro che alzare le spalle, dicendo tanto per dire, che una tesi di laurea, confezionata così, non farebbe né caldo né freddo.
Ma tra filosofi ci s’intende... In fondo è solo retorica. I «galimbertizzati» sono solo degli sgobboni virgolettanti - per riprendere l’idea di Stefano Zecchi sulla crudeltà del copiare. Anche Michel Foucault, allora, inavvertitamente citato da Natoli, il quale credeva di citare, più modestamente, il suo vecchio amico? Come collega meno noto, anelante a una recensione su La Repubblica, Foucault sembra un po’ strano... E poi siamo sicuri che l’arroganza non sia interdisciplinare e che il bullismo intellettuale colpisca solo i filosofi? Non dimentichiamo che, nella sua infinita ricettività, Galimberti accoglie da sempre illustri paleontologi, antropologi, linguisti, psicanalisti o psichiatri (vedi Il corpo, Feltrinelli).
Ma parliamo invece di convenzioni retoriche. In fondo che cos’è un autore? Ebbene un autore, da qualche secolo, è una persona che si aspetta che leggi e buon senso tutelino quelle chiare e civilissime fattispecie giuridiche (la «normativa vigente» a cui fa appello Radio 24) quali la proprietà intellettuale e, appunto, i diritti d’autore. I libri, del resto, sono venduti e comprati in un mercato. Ci sono contratti. Ci sono percorsi accademici, basati su criteri di originalità e creatività.

Il rispetto delle regole del gioco, quando nel gioco si entra - firmando un contratto, riscuotendo percentuali e avanzando nella carriera - fa il vivere civile, quello di tutti i giorni.
A meno che, rispetto alla legalità e all’ordinaria decenza, i filosofi, questi tenori dell’etica, non vogliano autoescludersi.

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