Il gallerista più nero che noir per stregare il lettore

Il gallerista più nero che noir per stregare il lettore

Stregato dalle streghe. Purché sexy e disponibili quanto basta. Ippolito Edmondo Ferrario torna a Triora e dintorni. Lo fa alla sua maniera. Sceglie Apricale, dove un collezionista d’arte lo attira con uno Zandomeneghi misterioso che vale una fortuna. Ma che per il gallerista-detective Leonardo Fiorentini - la «maschera» indossata dall’autore per non esagerare con il realismo - significa un’occasione. Anzi, tante occasioni. Per nuove conoscenze, in senso rigorosamente biblico. Per nuove avventure. Per una nuova «novella» da servire ai lettori della collezione noir dei Fratelli Frilli.
Sì, perché Ferrario non riesce proprio a prendersi sul serio, e fedele a una nota biografica che lo vuole scrittore per caso e per diletto, firma quello che lui definisce «un calderone letterario» che non vuole tirarsela da romanzo con delitto. E azzecca la scelta di un racconto da bersi come lui beve una sambuca. In fretta, tutto d’un fiato. Una pagina tira l’altra come una nocciolina e un’oliva all’ora dell’aperitivo. Tutta «colpa», appunto, di quella capacità di scrivere come si mangia e si beve. Semplice, diretta, scanzonata. E senza moralismi.
Ippolito Edmondo Ferrario non riesce a far rinunciare Leonardo Fiorentini a un’affascinante e conturbante donna come al suo linguaggio da caserma raffinata. O da ufficio triviale. Siccome ama prendersi in giro e prendere in giro, difficilmente articola tre frasi di seguito senza strappare un sorriso a chi lo ascolta leggendo. E se Giorgio Faletti - non vuole essere un confronto di qualità - sa rendere piacevoli le pagine riempitive di un romanzo regalando ai suoi personaggi qualche battuta da grande cabaret, Ferrario sembra quasi costruire una trama per scherzare col lettore più a lungo possibile, cadendo solo in qualche rara forzatura. Tanto che può permettersi il lusso di arruolare nel cast dei protagonisti anche una dozzina abbondante di persone realmente esistenti, citandole per nome senza bisogno di cautelarsi con titoli di coda anti querele.
Non si arriva alla fine per sapere che fine ha fatto l’enigmatica poliziotta con il fisico che ammalia, o per capire chi è l’assassino. Se anzi, come può accadere, si scopre fin dalla sua comparsa che il maggiordomo gronda sangue quanto le stelle del titolo, le pagine si girano lo stesso. Perché è il protagonista che fa la storia. Ippolito Edmondo (o Leonardo che si preferisca chiamarlo) ha un solo obiettivo, quello di scassare tutti i luoghi comuni del politically correct. Non si vergogna della sua voglia matta di sesso, fosse anche estremo. Non cerca un giro di parole per evitare una parolaccia, perché quella è l’unica che si può dire in quel frangente. È un fascistone romantico, onesto e puro, fa di tutto per dimostrarlo. E siccome tutto ciò lo rende terribilmente simpatico, come quel pretaccio di don Cammillo o quel comunista mangiapreti di Peppone riveduti e corretti per il terzo millennio, lui riesce a demolire anche quegli steccati che la cultura non sa proprio scavalcare. Magari di Giovannino Guareschi non sarà un estimatore. Magari men che meno vorrà sentirsi accostare come suo aspirante discepolo. Ma con lo scrittore che pagò la parte più ottusa e illiberale di Alcide De Gasperi, Ferrario ha in comune la voglia di anticonformismo e la capacità di dimostrare come non sia necessario scrivere un romanzo per essere uno scrittore. L’italiano, poi, regala una vasta gamma di aggettivi per sottolineare le differenze.

Ma un sostantivo già non se lo possono permettere tutti quelli che pure se lo attribuiscono o se lo fanno attribuire.
Ippolito Edmondo Ferrario, «Il collezionista di Apricale... e le stelle grondano sangue», Fratelli Frilli Editori, 211 pagine, 9,50 euro

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