New York - La colpa è tutta di Mike D’Antoni. Sua e di quella mezza voglia di non raccontarla mai giusta che ha fatto impazzire la stampa della Grande Mela. «Danilo Gallinari è il miglior tiratore che abbia mai allenato in vita mia». Una frase fin troppo ritmata e arrivata a pennello nel mezzo di un pomeriggio come tanti, quando la voglia di capire i Knicks dell’ultima stagione senza LeBron James andava ancora per la maggiore. Un assist a porta vuota al figlio del suo ex compagno di stanza Vittorio che la dice lunga su quanto il buon Mike ci tenga al suo Danilo. Qualcosa di più rispetto ad un normale amore a prima vista. «Ci sono rimasto anch’io, ma devo dire la verità: mi ha fatto molto piacere», ha spiegato Danilo alla vigilia della sfida contro Miami, persa 93-115 ma con record personale di punti, 22, con sette triple e una certezza per i tifosi newyorkesi: fra gli uomini dei Knicks è l’unico che sa coniugare talento e carattere e D’Antoni lo sa. Per la verità, lo sa anche Phil Jackson, coach dei Lakers, che nei giorni scorsi si è lasciato sfuggire: «Gallinari diventerà uno dei migliori realizzatori della Nba...».
Gli americani sono curiosi di capire quanto vale veramente. Quelle parole (di D’Antoni, perché non sapeva ancora di Jackson, ndr) non l’hanno mandata in tilt?
«In un certo senso sì, ma sono abituato a gestire questo tipo di pressioni. L’ho presa come un’ennesima sfida da vincere e sono sceso in campo per dimostrare tutto il mio valore. Mai come in questo momento non ho nulla da perdere».
Come si sente fisicamente?
«Mai stato meglio. Per fortuna il peggio è passato e ora non mi rimane che concentrarmi su quanto devo fare. Le noie alla schiena sono solo un brutto ricordo.
Era dunque solo quello il problema?
«Alla fine sì, ma è sempre facile parlare a posteriori. Dall'infortunio sto lavorando con dei carichi di lavoro fin troppo specifici e posso dire di star bene. Quindi cercherò di farmi trovare pronto ogni qualvolta Mike mi chiamerà».
Di sicuro, rispetto a quel timido giovinastro che provava a correre trascinandosi a destra e sinistra, qualcosa è cambiato: il futuro dei Knick è anche Danilo Gallinari?
«Direi proprio di sì e ne sono lusingato. Sin dal primo giorno di allenamento mi hanno parlato chiaro: “Danilo giochi e prenditi le tue responsabilità. Tu sei un altruista ma a volte devi anche creare il tuo gioco. È importante per i compagni...”. E questo sto cercando di fare».
Di fatto l'iniziativa non le manca, tra una partenza dal palleggio, un passo e tiro da quasi sei metri e tanti tiri da tre punti. Quest'anno è quello che dobbiamo aspettarci da lei?
«Ci provo. Faccio quello che mi viene chiesto in determinate situazioni di gioco. Poi è chiaro, devo adattarmi ad altre, ma questo non è un problema. Vedo che i compagni hanno fiducia nel sottoscritto, quindi mi sembra un ottimo inizio».
Realisticamente, dove possono arrivare questi Knicks?
«Siamo un bel gruppo. Abbiamo cambiato parecchio ma penso che ce la possiamo giocare con tutti. Il segreto è rimanere sempre e comunque aggressivi e sfruttare le opportunità che nascono da questo continuo gioco in velocità. Insomma, penso che ci potremmo essere».
Quanto lo spogliatoio dei New York Knicks parla di luglio 2010 e del possibile arrivo di LeBron James nella Grande Mela?
«A dire il vero ben poco. A noi interessa in maniera relativa perché sappiamo bene tutti che, al momento, quello che conta è il presente. Tutto il resto sono chiacchiere che non mi va di commentare».
Belinelli a Toronto è un segno del destino?
«Sono contento per Marco. Ha una concreta occasione per dimostrare quanto vale e sono sicuro che non deluderà. Il fatto che Andrea Bargnani sia con lui, beh, sarà divertente giocarci contro».
Chi vince l’anello?
«Bella domanda. Ci sono un sacco di squadre in giro che si sono rinforzate, ma i nomi sono sempre quelli: Lakers e Boston sembrano davanti a tutti, poi si vedrà».
Ultima domanda: è davvero Danilo Gallinari l'uomo della svolta di una nazionale che non riesce più a
«Non vi dico quanto mi rode il fatto di non aver potuto prendere parte anche solo ad un allenamento. Ma a New York ho imparato a guardare al futuro e io ci sarò sicuramente. Possono tranquillamente contare su di me».
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