In questi giorni, la mia scrivania e il mio telefono sono stati sommersi di lettere e telefonate di lettori che volevano semplicemente dire che la pensavano come noi. Ancora oggi, penso a quelle, alte e nobili, di Maria Grazia Bertola, di Brunella Maietta e Federico Bus. Lettere e telefonate di persone normali, come noi, che concordano con la nostra campagna, quasi solitaria nel panorama della stampa cittadina, per dire che Giovanni Novi fino a prova contraria resta un galantuomo. E lidea che un galantuomo - che, certo, ha fatto diversi errori nella gestione del Porto, a partire da quello di aver subito le pressioni dei Comitati del Ponente e di Beppe Pericu su Voltri a quello di stabilire un legame troppo stretto con Claudio Burlando e con i camalli di Paride Batini - sia finito agli arresti non piace a nessuno. Poi, per carità, la magistratura deve fare il suo lavoro fino in fondo, sempre e comunque. Senza paraocchi a destra o a sinistra. A sinistra, soprattutto. Ma lascia comunque basiti il fatto che Novi sia agli arresti e che delinquenti puri vadano in giro armati per strada, «perchè non si ravvisano le esigenze cautelari».
Battaglia quasi solitaria, dicevamo. Abbiamo apprezzato un fondo del direttore del Corriere mercantile in cui Mimmo Angeli diceva la sua sullinopportunità del provvedimento dellarresto di Novi, posizione linguisticamente forse un po timida, come è nel carattere semanticamente felpato di Mimmo, ma comunque bella e coraggiosa. Su Repubblica-Il lavoro un amico storico di Novi come Franco Manzitti, di cui peraltro si sente la mancanza in questi giorni, ha ripetuto come un mantra la sua fiducia nella magistratura ed è toccato a Piero Ottone esprimere la sua totale fiducia nellex presidente del Porto, in unintervista al Secolo XIX.
Battaglia quasi solitaria, dicevamo. Nei giornali. Non fra i nostri lettori. E questo mi fa enorme piacere. Nel Dna della famiglia del Giornale cè una carica fortissima e vitale di garantismo totale. Qualcosa che è parte di voi e di noi. Anche quando non riguarda la parte politica che ciascuno di noi ritiene la propria parte. É questa la differenza fra il garantismo doc e il garantismo peloso.
E proprio questo è quello che mi fa più piacere. In passato, anche il Giornale, anche ledizione ligure del Giornale, anche io stesso, abbiamo sostenuto posizioni che garantiste non erano. Ecco, quei tempi sono passati. Non cè spazio per nostalgici del garantismo a corrente alternata, per guardare indietro o per applaudire magistrati che non meritano di essere applauditi solo perchè prendono decisioni che ci possono fare piacere. Anche a costo di rischiare limpopolarità, su questo Giornale queste posizioni non hanno diritto di cittadinanza. E un direttore come Mario Giordano, come dimostra quotidianamente anche nelle sue risposte ai lettori, è una garanzia in tal senso.
Qualche tempo fa, in un convegno con quella donna coraggiosa e straordinaria che è Stefania Craxi dissi pubblicamente che mi vergognavo di alcune delle cose che scrissi fra il 1992 e il 1994. Stefania mi abbracciò, dicendomi: «Non avevo mai sentito un giornalista dire queste cose». Mi fece piacere, non lo nascondo.
E sapete qual è la frase di cui mi vergogno di più? La scrissi su Claudio Burlando, quando venne arrestato. E suonava pressappoco così: «Se è finito in galera, qualcosa avrà pur fatto». Roba aberrante, come aberrante era il clima di quegli anni. Me ne scuso ancor oggi con Claudio.
Proprio per questo, mi ha fatto doppiamente male in questi giorni vedere Burlando quasi indifferente nei confronti di Novi, ricordando una solidarietà di qualche settimana fa. Ma, in certi casi, la solidarietà ha una scadenza, come la mozzarella. Altrimenti, magari senza volerlo, più che mozzarella, sembra una bufala.
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