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Gasperini, la scelta obbligata dell’Inter

Contratto biennale a 1,5 milioni di euro a stagione. Si porta il vice e il «tattico» ma resta Baresi. Tagliati gli ex juventini Moratti pensa sempre a Mou e Guardiola: "Gli auguro i successi che ci hanno portato al titolo di campione del mondo"

Gasperini, la scelta obbligata dell’Inter

Voluto o imposto? Sarà questo il leit motiv che accompagnerà la storia nerazzurra di Gian Piero Gasperini, un uomo senza età visti i capelli (sono solo 53, compiuti nel mese e nel giorno di Mourinho), un allenatore senza pedigree d’eccellenza (un po’ poco il Genoa) per una squadra campione del mondo. Ci sono voluti dieci giorni perché Moratti cavasse dal mazzo l’allenatore più scontato, dopo i «no» che nessuno è riuscito a nascondere. Qualcuno dirà: era meglio Delio Rossi e non c’è da dargli torto. Qualche altro ripenserà alla sceneggiata con Mihajlovic. Tanti rimpiangeranno Bielsa, Villas Boas (ma se Moratti non tira fuori 15 milioni neppure per un calciatore..), forse tutti converranno che la soluzione ottimale era Capello. E non Hiddink. Da qui quella sensazione snobistica, infastidita, comunque seccata che ha accompagnato il presidente ogni volta che ricompariva l’ipotesi di ritrovarsi con Gasperini in panchina, dopo che anche De Laurentiis e Zamparini ci avevano pensato (e prontamente ripensato). Come dicesse: se proprio devo, c’è anche lui.
Il patron è arrivato perfino a raccontarci di averne voluto esaminare il curriculum professionale. O, magari, voleva solo nascondere i consigli chiesti a Mourihno (sostenitore del Gasp: «È il migliore»). Appunto: Gasperini voluto per convinzione o imposto dalla mancanza di alternative? Questo è il problema del futuro interista. Inter copiona del Milan (se poi Allegri farà scuola anche nel risultato…) o costretta a copiare il Milan? E se Gasperini guiderà la squadra, chi guiderà lo spogliatoio, centro sismico di tutte le storie nerazzurre: non ultime quelle di Benitez e Leonardo.

Il contratto biennale (un milione e mezzo a stagione) annunciato dall’Inter è solo un omaggio alle solite domande: mangerà il panettone? E alle facili battute che inseguiranno il nuovo tecnico: lui è Gaspare, Zuzzurro chi lo fa? Ma il prossimo anno ripartirà la caccia a Guardiola o Mourinho.

Ieri Moratti era fuori Milano e gli ha dedicato stringate parole di benvenuto, quasi se ne tenesse lontano. «Auguro i successi che hanno portato l’Inter al titolo di campione del mondo». Detto così diventa un compito pesante e ingrato. Sono sedici. Sedici allenatori in 16 anni targati Moratti. E solo tre (Hodgson, Mourinho, Leonardo) se ne sono andati volontariamente: due di loro nelle ultime due stagioni. Non può essere casuale. Basta parlare con i numeri per dimostrare quanto è dura la vita in nerazzurro. Ed anche bella, viste le paghe. Vincere non basta (leggi Mancini e Benitez), devi avere la buona stella (leggi Mourinho) o la faccia tosta (Leonardo è un maestro). Moratti ha preso male la fuga di Mou ed ha fatto buon viso all’ennesimo colpo di vita di Leonardo. Aveva difeso il brasiliano, pur intuendone i limiti tecnico-professionali. Un giorno forse penserà: il vero colpo è che se ne sia andato. Conoscendo l’arte sottile del far soffrire gli allenatori, non è escluso che il presidente abbia tirato in lungo per mettere in difficoltà Leo. Quella frase di giovedì («Un allenatore ce l’ho ancora ed è Leonardo») lascia il dubbio. Anche se non lesina una carezza: «Non vorrei venisse considerato un traditore»).

L’annuncio di ieri coincide con la festa della curva nord nella serata di San Siro per onorare il bello di una stagione. Il benvenuto al nuovo tecnico, italiano dopo tre anni segnati dagli stranieri, dovrà essere sostenuto da un’apertura di credito nella campagna acquisti: Palacio, poca roba. Meglio Hazard, Poli e, magari, Pastore. L’Inter di oggi non è adatta al gioco made in Gasper: serve gente che corra sempre e tanto, giocatori universali, meno primedonne e uomini mentalmente pronti a tutto. Probabilmente alcuni ex del Genoa tireranno un sospiro di sollievo, ma forse i migliori anni di Milito e Thiago Motta sono passati. Maicon, Eto’o, Cambiasso, Sneijder, Milito sono difficilmente addomesticabili. Potrebbe essere l’ora di un’Inter targata giovani, scelta rischiosa ma affascinante. «Gasp» sarebbe l’uomo giusto per guidarla. Ma all’Inter serve vincere scudetto o Champions, dopo un anno dedicato alle alternative (coppa Intercontinentale e coppa Italia). Il modulo (3-4-3 o 4-3-3) dell’ex tecnico del Genoa dovrà sposare l’esigenza di giocar bene e vincere quando serve, non quando capita.

L’Inter ha concesso uno staff con due soli uomini di fiducia: il vice allenatore Bruno Caneo e Luca Trucchi, preparatore atletico e «tattico», con telecamerina sempre in spalla. Resterà Beppe Baresi e con lui gli altri del gruppo tecnico. Non arriveranno né Ventrone, né Rampulla, troppo legati ad un passato juventino che all’Inter fa venire l’orticaria. E nessuno che, invece, ricordi l’effetto Lippi.

Ben peggio.

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