Per Gassman e Gazzè la Basilicata è una canzone folk

Dopo Sul mare di D’Alatri, anche Papaleo racconta l’Italia delle piccole patrie. Con una commedia musicale: i protagonisti, a piedi dallo Jonio al Tirreno, alla ricerca di se stessi

Per Gassman e Gazzè la Basilicata è una canzone folk

Roma - È ora, è ora: provincia a chi lavora (nel cinema). Dopo le cartoline da Ventotene, spedite da D’Alatri col suo film Sul mare, ambientato tra i barcaioli dell’isola pontina, ecco quelle da Maratea, con gli scorci lucani della commedia musicale Basilicata coast to coast (da venerdì nelle sale con 150 copie), grazioso film ecologista di e con Rocco Papaleo, al suo esordio dietro la macchina da presa. Per sentirsi «’nu poco rockstar» (il dialetto la fa da padrone, rendendo simpatica persino la normalmente algida Giovanna Mezzogiorno, nel cast con Alessandro Gassman, Paolo Briguglia e Max Gazzè), quattro musicisti jazz in cerca d’identità attraversano la Basilicata dal Tirreno allo Jonio. Dai sassi di Matera, insomma, la quaterna di picari del Sud, armati dei loro strumenti e d’una cavalla bianca paziente come un mulo, approderà a Scanzano Jonico, dove si tiene il Festival del teatro-canzone. E viaggio fa rima con spensieratezza in questo spicchio di cinema cafone (nel senso di simpaticamente burino e folk), dove si gusta la «piccola patria» fatta di mamme, che sanno fare bene la frittata (geniale il rap «Nel panino con la frittata/mia madre non si batte», jazzato sotto un ulivo) e di angurie galleggianti, al fresco, nella fontana d’un paese. E che dire d’un prete, che rappresenta il giornaletto parrocchiale L’Eco dei Salesiani, ma poi conta su una tivù satellitare? Che tutto questo fa Italia, un paese ricco e creativo, dove un artista lucano come Papaleo, devoto al teatro («parlano di cinema, ma in teatro nascono i fiori») sa imbastire un brindisi (con l’Aglianico) alla memoria di Carlo Levi (e così ricorda il di lui Cristo si è fermato a Eboli) e a quella di Gian Maria Volontè (e così omaggia la categoria degli attori), senza risultare retorico.
«Questo film non è un documentario: la Basilicata era nella mia testa fin da ragazzo. Mio cugino, nei Settanta, faceva la messa beat, con la chitarra elettrica sull’altare... È questo Sud, con le sue pulsioni, con i sogni velleitari, conservati nella campana di vetro della mia anima, che ho voluto raccontare come un omaggio alla mia terra, alla terra tutta e senza campanilismi. Questo film è una canzone», spiega Rocco, guardandosi intorno ancora incredulo e invocando il suo «garibaldinismo», buono per sentirsi libero e confezionare qualcosa di originale. Finalmente scevro da pregiudizi ideologici, il nostro cinema pare si sia messo a cantare e ballare, magari guardando anche al successo tv di Tutti pazzi per amore e all’inaspettato exploit del comico Checco Zalone, sul grande schermo con i suoi tic lazzaroni e sbancabotteghino. Di fatto, qui Giovanna Mezzogiorno, ovvero l’icona dell’impegno artistico-politico (sarà, ma lei, nipote d’un direttore del Corriere della sera, fa la giornalista e in una scena legge La Repubblica, tra sassi e nulla, mentre in un’altra rivela d’aver lavorato a Il Mattino), indossa camicette country e canta (sussurrando alla Carla Bruni) «Voglio stare bene/Voglio fare», dorso a dorso con Max Gazzè, al suo primo ruolo d’attore.
Tana libera tutti? Massì: a Latronico vanno a spasso le più belle ragazze della regione, che guardano Rocco Santamaria (Gassman), vippino della tivù locale, e di riflesso allumano pure suo cugino Salvatore (Briguglia), mentre Tropea (Mezzogiorno) a poco a poco si scioglie, innamorandosi del musicista (Gazzè), che non parla per scelta. «È un film anomalo e racconta un meridione, che si pensava dimenticato e invece c’è: in Basilicata.

Un po’ Klondike, un po’ deserto del Gobi», nota il figlio di Vittorio Gassman, qui più gigione del solito, quando spalanca le braccia al cielo sotto il Cristo di Maratea. Da costa a costa, però, le orrende pale eoliche si sprecano (non è un film per Sgarbi).

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