Il gatto e la volpe «svuotavano» i container

Il gatto e la volpe «svuotavano» i container

(...) due imprenditori edili piemontesi erano a capo di un’organizzazione specializzata in furti in container. Il gatto e la volpe, il loro nome in codice. E non solo nomi ma anche frasi in codice emergono dalle numerose intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite dai militari della Guardia di finanza del Gruppo Genova che hanno condotto un anno di indagini per smantellare un’organizzazione radicata nel nord Italia, con propaggini anche in Calabria.
Un’organizzazione a carattere piramidale quella emersa dalle indagini dell’operazione «Sigillum» (confluite in un fascicolo di 20mila pagine), che vedeva a livello intermedio una decina di «sodali», tra autotrasportatori in proprio o dipendenti e specialisti dello scasso, capaci di svaligiare i container svitando e riavvitando le serrature lasciando intatti i sigilli, senza alcun segno di effrazione.
Della base facevano invece parte una cinquantina tra «uomini di fatica» e ricettatori più o meno abituali, tra quest’ultimi in particolare, un gruppo di cinque o sei casalinghe agguerrite nel commissionare i furti, che raccoglievano ordinazioni anche per conto delle amiche. Sono state in tutto 22 le custodie cautelari eseguite nella notte, 16 in carcere (tra queste anche il maresciallo Gdf) e 6 ai domiciliari, sulla base di un’ordinanza emessa dal gip genovese Roberto Fenizia, su richiesta del pm Walter Cotugno. Una settantina sono le perquisizioni condotte, mentre risultano iscritte sul registro degli indagati una cinquantina di persone, nell’ambito dell’ inchiesta nata nel luglio 2007 come costola di un’altra indagine e che ha interessato Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Toscana, Lazio e Calabria.
Le accuse a vario titolo sono associazione a delinquere, furto aggravato e ricettazione aggravata in concorso. Secondo i militari l’organizzazione, per la sua ramificazione ed i meccanismi consolidati, operava da oltre 10 anni. Una volta individuato il carico appetibile, rilevato dai documenti che scortavano le merci stivate nei container, in transito dallo scalo di Genova Voltri, i camionisti, deviando dal percorso stabilito, si recavano in luoghi sicuri (indicati dalla banda), dove si provvedeva ad alleggerire i container.
La merce, la più disparata, dalle bare alle bici da corsa, dai prodotti alimentari, all’acqua minerale, agli articoli hi-tech, dai vini pregiati (tra questi privilegiato l’Amarone) agli elettrodomestici, dalle macchine movimento terra ai prodotti di pulizia per la casa, quando non veniva subito inserita nel circuito di vendita dell’organizzazione (che si avvaleva anche dei normali canali di distribuzione commerciale all’ingrosso e al dettaglio) veniva poi trasferita verso luoghi di stoccaggio temporaneo (prevalentemente nell’alessandrino) indicati con come «la grotta» o la «palude».
Dalle indagini è emersa anche un’intera famiglia genovese, madre e padre anziani, e tre figli quarantenni, in affari con l’organizzazione. La donna avvertiva le amiche dei carichi in arrivo e raccoglieva eventuali ordini, mentre gli uomini di casa lavoravano come trasportatori o persone di fatica. I militari stanno ancora quantificando il tesoro frutto dell’attività criminale dell’organizzazione, stimabile attorno a qualche milione di euro.


Le perquisizioni hanno permesso di recuperare il bottino sia dagli autori dei furti, che dai ricettatori come pure da alcuni clienti occasionali che pensavano di aver fatto un buon affare e si sono visti mettere i sigilli alla lavastoviglie di marca acquistata a soli 100 euro. Le indagini proseguiranno nei prossimi mesi anche per individuare le vittime dei furti.

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