nostro inviato a Varallo-Vercelli-Novara
L'arte è un formidabile strumento, il più naturale, per unire una comunità, per definirla, rafforzarla. Il popolo, le città, una terra sentono i propri artisti, che sono maestri e padri, li portano dentro, ne sono gelosi. A volte però occorre riscoprirli, ri-proporli, rivendicarli con forza.
Gaudenzio Ferrari da Valduggia, in Valsesia, talento mirabile spuntato fra 1475 e 1480 - data incerta ma cruciale per l'arte - è stato il maestro rinascimentale del Piemonte. Il più grande.
Pensare, organizzare e sviluppare il progetto Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari, mostra una-e-trina, una esposizione diffusa su tre sedi, dentro una sola regione ma a cavallo fra due aree geografico-culturali che si compenetrano da secoli, il Piemonte e la Lombardia, è un modo per ricompattare un territorio. Per rilanciarlo turisticamente e valorizzarne il patrimonio culturale. E soprattutto per esportare un caposcuola assoluto fuori dai confini regionali, troppo angusti per un genio come il «pittore eccellentissimo, pratico et espedito Gaudenzio Ferrari», così da riconoscerlo quale è, fra i massimi artisti del '500, in assoluto.
«Eppure ancora oggi - ammette Giovanni Agosti, curatore con Jacopo Stoppa della mostra - mentre per la gente del luogo Gaudenzio Ferrari è uno di loro, per un qualsiasi studente universitario, persino di arte, è uno sconosciuto. Nonostante i capolavori, nonostante gli studi su di lui, nonostante la riscoperta negli anni '50 di Giovanni Testori, in Toscana non sanno neppure chi sia». Bisogna passare il Po. Bisogna superare l'Appennino.
Bisogna varcare il Sesia. E rendere nazionale un tesoro che non è solo locale. Ed ecco il grande progetto gaudenziano, fortemente voluto da Antonella Parigi, assessore alla Cultura della Regione Piemonte, fin dall'insediamento della sua giunta, nel 2014. Lei ha trovato le risorse in Regione, lei si è spesa con le istituzioni bancarie per i finanziamenti, lei ha voluto un percorso su tre sedi, e ha sostenuto i curatori. I quali (sarà contento chi critica le troppe mostre blockbuster comprate chiavi in mano, all'estero o da società di servizio, e che girano l'Italia con l'unico obiettivo di attirare visitatori) hanno pensato a una mostra fuori dal mainstream. «Il problema non è lo sbigliettamento. Oggi dal Sacro Monte di Varallo passano sì e no 50mila visitatori l'anno, e dai musei del territorio ancora meno. Sì, certo. Vogliamo rivitalizzare i centri coinvolti. Ma l'obiettivo è lasciare qualcosa alla comunità, anche di piccolo».
E per lasciare qualcosa, anche di piccolo, bisogna pensare in grande. Oggi apre Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari (fino all'1 luglio). Quasi tre anni di lavoro, due curatori con una squadra di giovani universitari coinvolti nel progetto, tre comuni in campo (Varallo, Vercelli e Novara per sei sedi totali fra musei, chiese, pinacoteche e il «Grande teatro montano» del Sacro Monte), centoventi opere in tutto, di Gaudenzio, dei suoi seguaci e dei suoi contemporanei, molti prestiti da musei internazionali, più le opere inamovibili, e un costo di 1,2 milioni di euro, coperto da Regione Piemonte, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT e Intesa San Paolo. Sembrerebbe troppo per un artista semisconosciuto. Poco, per chi, già nel '500, fu ritenuto da Giovanni Paolo Lomazzo - insieme a Mantegna, Michelangelo, Polidoro da Caravaggio, Leonardo, Raffaello e Tiziano - uno dei sette «Governatori» nel Tempio della Pittura.
Il fatto è che Gaudenzio rimase geograficamente ai margini del Rinascimento. Forse visitò Roma, ma non è certo. Non toccò Firenze. Non passò dai luoghi in cui si decise la cultura europea. Scelse di restare nella sua terra, fra la sua gente.
Ed è qui che bisogna tornare per incontrarlo. E seguirlo, anno dopo anno, cronologicamente, scientificamente, dagli anni della formazione alla stagione della maturità fino agli ultimi anni: tre momenti, tre città, una grande esposizione diffusa. Risaie, pale d'altare e commozione. È (parere personalissimo) la mostra dell'anno per chi vuole giocarsi un weekend d'arte. Centri storici, chiese, musei high tech, alberghetti e una salita notturna al Sacro Monte. Indimenticabile. È al buio che si vede davvero.
Silenzio, inizia lo spettacolo.
Prima tappa, Varallo: «La meglio gioventù». Un avvocato del luogo, facoltosissimo e mecenate, ha finanziato i lavori di ristrutturazione della pinacoteca cittadina perché potesse essere a norma - climatizzazione e sicurezza - per ospitare i prestiti dal Louvre e da Budapest (altra piccola cosa che così resta alla comunità...). Qui da oggi sono esposti una quarantina di pezzi unici: ecco il grande Polittico di Sant'Anna (1508-9) ricomposto dopo secoli con le due tavole dell'Annunciazione provenienti dalla National Gallery di Londra, insieme alle altre presenti nella Galleria Sabauda di Torino. Ecco il polittico della Collegiata di Arona (1511). Ecco gli affreschi staccati dalla cappella del Sepolcro della Vergine al Sacro Monte... «Gaudenzio è pittore, scultore, ha una visione architettonica. È un artista totale - ci guida nel tour Giovanni Agosti - ma non disdegna la dimensione imprenditoriale. Organizza la sua bottega con diversi collaboratori ed è capace di tenere aperti cantieri distanti centinaia di chilometri, da Varallo alla Valtellina...». Ma intanto basta uscire dalla pinacoteca, attraversare la strada, e infilarsi nella chiesa di Santa Maria delle Grazie: qui Gaudenzio, sul tramezzo che separa l'aula dei fedeli da quella destinata ai religiosi, su una superficie di 80 metri quadrati, affrescò, terminando nel 1513, la Vita e passione di Cristo, in 21 quadri, dall'Annunciazione alla Resurrezione. Siamo su un ponteggio, che resterà montato tutto il tempo della mostra, a sei metri da terra, a pochi dalla parete, per godere il capolavoro ad altezza d'occhi. S'intravedono già in molte scene elmi e scudi «plastificati», in rilievo, che sembrano uscire dalla parete... Da lì alle cappelle del Sacro Monte - sono nove quelle a cui lavorò Gaudenzio, con affreschi e sculture, ripulite o restaurate per l'occasione, fra cui la sbalorditiva «Crocifissione», la Sistina delle Montagne - il passo è artisticamente breve, e fisicamente leggero. Si può salire con calma a piedi, o in funivia. Il teatro popolare di Gaudenzio non chiude mai.
Seconda tappa, Vercelli: «Quella che chiamano maturità». Qui - nella città in cui Gaudenzio risiede dal 1529 - dentro l'Arca, un parallelepipedo in vetro e acciaio di 29x7,5 metri infilato nell'ex chiesa di San Marco, poi mercato ortofrutticolo e dal 2007 avveniristico museo, sfilano i capolavori dell'età matura dell'artista, oltre quaranta, come l'Adorazione del Bambino del Ringling Museum di Sarasota, in Florida, opera finita nella collezione del mitico fondatore del Circo Barnum, o la Pietà di Budapest accanto al cartone preparatorio... Il tempo di passeggiare per il centro storico e si entra nella chiesetta di San Cristoforo, dove Gaudenzio ha lasciato tre tesori: la Madonna degli aranci dietro l'altare e due cicli di affreschi, siamo nel 1530-34, sulle due pareti del transetto. Su quella di sinistra le Storie della Vergine, su quella di destra, e qui si vedono ancora i segni delle cannonate dei francesi del 1704, le Storie di Maria Maddalena. Dove ricompaiono il soldato gozzuto del Sacro Monte, il cattivo ladrone sul quale incombe il demonio, e spunta anche un torvo personaggio che getta uno sguardo lubrico nella scollatura della cortigiana Maddalena. Sacro e profano, in Gaudenzio, sono solo a un pigmento di distanza.
Terza tappa, Novara: «Rimettersi in gioco». Nell'Arengo del Broletto vanno in scena gli ultimi dieci anni di vita di Gaudenzio. E la domanda che si pone l'atto conclusivo della mostra, dove dominano colori più cupi, opere di maggiori dimensioni e figure ingigantite, è: superati i cinquant'anni, si deve continuare a fare le stesse cose che ci hanno portato al successo, o tentare nuove strade? Ecco, qui Gaudenzio dà la risposta. Di fronte al montante gusto «manierista», mentre sulla piazza di Milano - dove Gaudenzio vive dal 1537, in zona Ca' Granda - artisti forestieri si contendono le commissioni più prestigiose, il maestro della Valsesia si lancia verso i nuovi tempi. Si rimette in gioco, appunto. Anche se, per i critici, forse perse la felicità della giovinezza. Ed ecco, fra tante opere, il Battesimo di Gesù (1541) di Santa Maria presso San Celso a Milano. Ecco lo straordinario San Paolo (molto intellettuale) dal museo di Lione (1543).
Ecco, infine, l'Ultima Cena (1543-46) di Santa Maria della Passione a Milano, il «Cenacolo bellissimo» ricordato da Vasari, ripreso e imitato da molti artisti (nella stessa stanza ce ne sono altri tre...). Ed è più che bellissimo. È magnifico. Gaudenzio morì lasciandolo incompiuto e lo finì Giovanni Battista della Cerva. Uno dei tanti, dei tantissimi discepoli che il Maestro disseminò dietro di sé.
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