Gaza, i reporter «convertiti» per farsi liberare

Appello ai colleghi: niente paura, venite qui e raccontate

Marcello Foa

Li hanno indotti a convertirsi all’Islam. E a denunciare, davanti a una telecamera, le stragi di Gaza «compiute con le armi di Bush». Ieri mattina i rapitori hanno diffuso quel filmato. Ore di angoscia, perplessità, sdegno. Poi poco dopo mezzogiorno i due giornalisti della tv americana Fox News, il sessantenne Steve Centanni e il cameraman neozelandese Olaf Wiig, di 36 anni, sono stati liberati. Macché conversione, macché denuncia: quelle dichiarazioni sono state estorte con i mitra puntati alla testa.
Due settimane è durata la loro prigionia a Gaza, nelle mani di un gruppo la cui identità è ancora sconosciuta. Il primo ministro palestinese Ismail Hanyeh, che ha incontrato i due reporter poco dopo la liberazione, ha escluso che i rapitori appartenessero ad al Qaida, ma non ha saputo fornire ragguagli sulla misteriosa organizzazione «Sante Brigate della Jihad», che ha rivendicato l’operazione. C’è chi sospetta che in realtà il rapimento sia stato compiuto dai «Martiri della brigata al Aqsa», la fazione estremista di al Fatah, oppure dall’ala militare di Hamas. Quel che è certo è che Hanyeh, dopo aver lasciato intendere nei giorni scorsi di essere stato in contatto con i sequestratori, ieri ha affermato di non sapere nulla sul loro conto e ha risposto in modo evasivo quando gli è stato chiesto se tenterà di arrestarli.
Due settimane dure per Centanni e Wiig. Due settimane di paura e di privazioni. «Durante le prime ore del sequestro ci hanno trattato male. Ci hanno portato - racconta il reporter più anziano - in un garage vuoto con un generatore in funzione e ci hanno costretto a distenderci su un pavimento lurido, la faccia a terra, gli occhi bendati e le mani legate dietro la schiena con dei lacci di plastica». Per ore non hanno potuto bere, né parlare. «Un paio di volte ho tentato di alzare la testa e di chiedere spiegazioni - continua - ma mi hanno subito colpito alla nuca con un bastone e con un manganello». Eppure non erano le botte a spaventarlo, ma la presenza del generatore. Centanni è un reporter esperto e capisce subito che il rumore di quell’apparecchio sarebbe servito ai sequestratori per coprire eventuali grida di aiuto e, soprattutto, i colpi d’arma da fuoco in caso di esecuzione. «Appena entrato in quella rimessa ho pensato: mio Dio... sono fregato... Adesso mi sparano e nessuno potrà sentire».
Poi, le condizioni di prigionie sono migliorate. Ai due è stato permesso di sedersi, ma sempre bendati e con le braccia dietro la schiena, spesso in posizioni dolorose. Le mani venivano liberate solo per descrivere, nero su bianco, la propria vita e per rispondere, sempre per iscritto, a un’infinita di domande su che cosa stessero facendo a Gaza e sui loro precedenti incarichi all’estero, soprattutto quelli in Afghanistan e in Irak. «Erano persuasi che fossi andato anche nel Kashmir, ma io lì non ci sono mai stato», spiega Centanni. Verosimilmente i rapitori sospettavano che i due fossero delle spie e cercavano di smascherarli.
Infine, la messinscena. Gli inviati di Fox News vengono portati di fronte alle telecamere. Centanni è filmato mentre pronuncia questa formula: «Ho cambiato il mio nome in Khaled, mi sono convertito all’Islam e pronuncio la parola Allah». Poi Wiig, con voce esitante e viso inespressivo, aggiunge: «La gente di Gaza ha sofferto per molti anni in ciò che è effettivamente un campo di prigionia. Non sono stati liberi di muoversi». E ancora: «Elicotteri Apache lanciano missili fabbricati in America che uccidono i residenti di Gaza. L’America e George Bush sono visti come il diavolo agli occhi di alcune persone in questa parte del mondo. È tempo che i leader dell’Occidente ascoltino la gente, prendano nota dei milioni di persone che protestano sulle strade e la smettano di nascondersi dietro il motto: non negoziamo con i terroristi».
Appena liberato, Centanni si sfoga: «Siamo stati costretti a convertirci all’Islam sotto la minaccia delle armi.

Ho il massimo rispetto per questa religione, ma ci hanno forzati e in quelle circostanze non ci restava altro da fare perché non sapevamo che cosa sarebbe potuto succederci».
Poi lancia un appello ai colleghi: «Spero che quanto accaduto non dissuada un solo giornalista dal venire a Gaza. Non fatevi scoraggiare, venite e raccontate tutto. Questa è una storia avvincente».

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