La gelosia ritorna di moda. Anche per i radical-chic

A partire dalla scandalosa Catherine Millet i teorici del sesso libero cambiano idea: amore è possesso. Saggi, romanzi e autobiografie rivalutano il furore di chi si sente tradito

La gelosia ritorna di moda. Anche per i radical-chic

«Gelosia/Mi acceca/Mi uccide/Assurda malattia...»: c’è stato un tempo in cui l’argomento era buono soltanto per i ritornelli delle canzoni tardive di Bobby Solo. Come a dire: roba vecchia, nazionalpopolare, troppo cheap. Passati gli anni Sessanta e i Settanta, distrutta la potenziale eternità della coppia con l’estrema flessibilità radical chic su unioni e valori familiari, la gelosia era diventata politicamente scorretta o, nel migliore dei casi, «antica» come la pettinatura col ciuffo a banana. Io sono mia/o, tu sei tuo/a e frequentiamo chi ci pare. Salvo poi ferirsi a morte con il flagello delle proprie opinioni in un nicodemismo dei sentimenti che a posteriori risulta sinceramente, oltreché paradossale, incomprensibile: i gelosi soffrivano come cani e dovevano pure censurarsi, torturarsi in segreto. Senza poter nemmeno, causa rispetto della sacralizzata privacy del partner, dare libero sfogo alla furia ispettoria - un tempo dorato ritenuta addirittura un diritto - su cassetti, taschini, colletti e (ultimi arrivati ma primi testimoni delle corna) cellulari.

Ma ora il tempo è tornato in cui la letteratura vendica e la gelosia non è più un tabù. In cui finalmente i libri tornano, in forma di romanzo, saggio, memoir, pamphlet, ad occuparsi dei gelosi, a considerare seriamente questa maggioranza acrimoniosa troppo a lungo trascurata e a dar loro conforto. Mai più chiacchiere e distintivo su chi cova un’insonnia allucinata e alimentata dal sospetto, bensì empatia e identificazione: «Guardami, non temere» ululano gli scrittori dagli scaffali delle librerie. «È accaduto anche a me. Ora ti narro che stavo male quanto te. Ora ti spiego come e in quanto tempo far dileguare il tormento».

Ci si gettano a capofitto soprattutto psichiatri, psicologi ed esperti di costume. Lo ha fatto l’estate scorsa Donatella Marazziti con E vissero gelosi e contenti (Rizzoli, pagg. 258, euro 17) - l’autrice è quella che ha scoperto «il gene dell’innamoramento» - saggio che per primo ha estratto la gelosia dalla «spazzatura dei sentimenti» dove era finita. E ci riprova quest’estate la giornalista tedesca Martina Rellin con In caso di amante, che uscirà a giugno per Castelvecchi, manuale che annovera la gelosia tra i sentimenti-test in grado di promuovere l’amante a compagno ufficiale: «Si rendono conto di quanto siano legati l’uno all’altra quando vengono colti, improvvisamente, dalla gelosia verso il coniuge dell’amante (o a volte anche verso un’altra persona). A questo punto si capisce che si tratta di vero amore, e il vero amore non è poi così libero dall’idea della proprietà».

Comprensione e consigli: perché non c’è nulla di più esplosivo di un geloso trascurato e solo con tanto «mal comune mezzo gaudio» gli s’impedisce di diventare uno stalker e magari, un giorno, pure il protagonista de Il giorno perfetto di Melania Mazzucco, quello che la moglie non si limita a seguirla per vedere se lo tradisce, ma la vuol pure far fuori e si accanisce sui figli. L’ha capito alcuni giorni fa anche la Cassazione e l’ha sancito con una sentenza: che la gelosia va presa sul serio, che non è un «futile motivo», un pretesto che aggrava la pena, uno stimolo «lieve, banale e sproporzionato».

E così anche gli «spregiudicati storici» fanno outing e dichiarano d’aver sofferto di quella «assurda malattia». Clamorosa la svolta della critica d’arte Catherine Millet, quella che «Histoire d’O c’est moi» e il sesso è di passaggio sempre e comunque. In orge dove tutti siamo senza nome e senza volto in stanze oscure, nei club privé, nel retro dei furgoni e sul ciglio dell’autostrada. Un’esistenza, sembrava, dedicata alla liberazione della donna attraverso il libertinismo e narrata in La vita sessuale di Catherine M., testo-totem in cui la gelosia era l’Innominata da bandire e l'esibizionismo andava praticato con costanza, senza mai cedere a fedeltà «borghesi».

«E se le vittime non fossero i traditi ma i traditori, costretti a tradire per comprarsi un attimo di felicità?A urla lo scrittore ceco Michal Viewegh ne Il caso dell’infedele Klara (trad. di A. Catalano, Instar Libri, pagg. 192, euro 14,50) romanzo-culto sulla gelosia contemporanea subito diventato un film di Roberto Faenza con Laura Chiatti e Claudio Santamaria. Risponde oggi proprio la Millet, in Gelosia (trad. di M. Basile, Mondadori. pagg. 220, euro 18,50), memoir in cui Catherine confessa il contrappasso cui si è sottoposta per anni: si dava a mille per sfuggire al tormento del «mostro dagli occhi verdi» inflittole da uno, il marito Jacques. Si dava per programma sessuale coatto. Per resistere all’esasperante, implacabile immaginazione che la spingeva a immaginare Jacques, cui è legata da un’unione ventennale, tra le braccia di una delle sue «amiche».
Il sangue che si raggela, i visceri che tremano, la mente, attanagliata da sospetti, che spinge per «l’indiscrezione forsennata», quel frugare tra le carte di Jacques che porta Catherine al ritrovamento di foto, bigliettini scribacchiati e un taccuino erotico: «La loro unica funzione era di provocare il puro abbandono al dolore», scrive in Gelosia. «Questo abbandono era ancora il mezzo più sicuro, ancorché involontariamente ricercato, per liberarmi la mente dal tormento delle congetture, per interrompere le infinite discussioni virtuali che intrattenevo con Jacques, e anche per dimenticare i miei contorti progetti di vendetta».

Perché il vero geloso non vuole cogliere in fallo il partner. Ma trovare conferma ai suoi sospetti. Non vuole parlare e confrontarsi con l’altro. Ma stare solo con se stesso, per torturarsi meglio. Non vuole che gli si proponga una verità, ma tentare l’esegesi degli indizi, per arricchire lui stesso, ustionato e paralizzato dalla coazione a ripetere, le immaginate scene di tradimento con dettagli sempre più abietti. Proprio come fa il Sergio Benevoli di Attenti alle rose, di Pino Roveredo (Bompiani, pagg. 168 euro 16,50), che per pagine e pagine ascolta le chiamate di «Radio rione» che annunciano «Corna!» e ripetono «Corna!» come motivazione dell’abbandono improvviso da parte della moglie del tetto coniugale (anche qui condiviso da vent’anni).

Sergio ascolta e immagina, immagina e ingigantisce, ingigantisce e sospetta, in un circolo vizioso che lo acceca e lo riduce a stato larvale, lo porta a vestirsi di polvere, pallore e fetore come i mobili e i pavimenti di casa che ormai più nessuno pulisce, ne abbassa pressione e capacità intellettive e soprattutto muscolari.

Tanto che quando finalmente lo incontrerà davvero, l’Avversario in amore, non potrà fare altro che venire sconfitto da quattro verità, terribilmente più concrete della gelosia che acceca: sinistro, destro, sinistro, destro. Kappaò.

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