Cronache

Il generale austriaco che non pagava le tasse

Antoniotto Botta Adorno, nemico giurato di Genova, era figlio di Luigi Botta e di Maddalena Adorno che aveva portato in dote al marito il feudo di Silvano d'Orba, al confine tra il territorio genovese e il Monferrato. L'origine dell'odio per Genova di Antoniotto, peraltro valente generale asburgico in numerose campagne militari, nasce proprio da questo possedimento, dato che la repubblica genovese imponeva tributi che Luigi Botta non pagava. Alla requisizione dei buoi della tenuta, ordinato dalla Repubblica come indennizzo, il padre di Antoniotto reagì con un'azione armata per ricuperarli, incorrendo nell'accusa di cospirazione contro le leggi del Doge e nella condanna a morte, che evitò con la fuga e l'esilio.
Antoniotto Botta Adorno non si fece, quindi, sfuggire l'occasione di regolare i conti con Genova durante l'occupazione del 1746. Dinnanzi al Doge che lo supplicava di allentare la morsa delle condizioni capestro, Antoniotto replicò: «Ai genovesi non lascerò altro che gli occhi per piangere».
Ma il suo dispotismo fu la scintilla che provocò non solo la ribellione di Balilla, ma dietro all'esempio del giovanissimo abitante di Portoria, anche quella di tanti altri, tra i quali il commerciante Giovanni Battista Ottone, che si unì alla rivolta, assaltando depositi di armi e comprandone altre da distribuire, mentre guidava personalmente gli attacchi di una compagnia di volontari. Non furono da meno Pier Maria Canevari, che combatté gli austriaci con un gruppo di montanari al passo della Scoffera e fu ucciso a tradimento da un prigioniero che aveva una pistola nascosta, o il garzone Giovanni Carbone che, pur ferito, riconsegnò al doge le chiavi di Porta S. Tommaso, appena strappate dagli insorti agli austriaci.
Non si può dimenticare, infine, il dodicenne Pittamuli, protagonista principale durante i combattimenti intorno alla locanda nei pressi del ponte di S.Agata sul Bisagno, che era stata trasformata in caposaldo dagli austriaci. Dato che non si riusciva a neutralizzarlo, occorreva un volontario che tentasse d'incendiare l'edificio per snidare il nemico.

Il ragazzino, con la pistola in una mano e una fascina accesa nell'altra, attraversò il ponte sotto il tiro della fucileria austriaca e morì dopo aver appiccato il fuoco alla casa, costringendo gli occupanti ad uscire e ad arrendersi.

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