nostro inviato a Perugia
«Piero? ...ti disturbo? ...tanto tu sei intelligente e mi segui... ascolta, quel terzo commensale ieri sera... io c’ho i ragazzi suoi ...capito? ...che ti sto a dire? (...) ci puoi fare un passaggio che mo’ io prendo il primo volo e rientro immediatamente, ci devi andare a parlare, no?».
A parlare è Diego Anemone, intercettato al telefono con un altro imprenditore, Piero Murino. Non è un giorno come tanti, è la mattina del 14 ottobre del 2008. Anemone è preoccupato, venti minuti prima l’ha chiamato il fratello, Daniele, per dirgli che è in corso un controllo della Guardia di finanza negli uffici della società. Quel giorno l’ormai celebre «lista Anemone», quell’elenco di 400 lavori, indirizzi e nomi, molti eccellenti, finisce nelle mani delle Fiamme gialle, che la pescano nel pc di Daniele Anemone. Diego vorrebbe intervenire per “stoppare” la visita fiscale prima possibile. E si attiva, ignorando di essere intercettato, chiedendo, appunto, all’amico Murino di «fare un passaggio» con il «terzo commensale», qualcuno con cui entrambi, evidentemente, avevano cenato la sera precedente.
Una cena molto rilevante ai fini dell’inchiesta sul G8. Ristorante romano, sala riservata, lontana da occhi e orecchie indiscrete. C’erano Anemone, Murino e l’altro uomo. Un alto ufficiale della Finanza, «traducendo» la comunicazione in codice di Anemone all’amico, visto che i «ragazzi suoi» a cui Diego accenna sono gli uomini delle Fiamme gialle che quella mattina gli stavano spulciando gli uffici, e che l’imprenditore sperava di fermare con un intervento dall’alto.
Quell’uomo in divisa ora avrebbe un nome. Quello di un altro generale della Finanza: il primo finito in questa storia è Francesco Pittorru, indagato, a cui Anemone avrebbe comprato due appartamenti con i famosi assegni dell’architetto Angelo Zampolini. Il «terzo commensale», invece, sarebbe il generale Paolo Poletti. Che tra l’altro, è uno dei «nomi noti» presenti nella lista di lavori di Diego Anemone, che l’aveva annotato accanto all’indirizzo («Via Ofanto») della casa del generale, di proprietà di Propaganda Fide. Come Pittorru, anche lui lavora all’Aisi, il servizio segreto civile, del quale è il numero due. Ma a differenza del primo, lui non è indagato. Salta fuori in questa storia come già gli era capitato a margine di altre inchieste: nel ristorante di Ponza dove cenarono insieme Massimo D’Alema e l’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini, accomunati da un amico, c’era anche il numero due dell’Aisi. E sarebbe stata proprio una «barba finta» a contattare gli investigatori non solo per aiutarli nell’identificazione del terzo commensale, ma anche per assicurare che Poletti è pronto a incontrare i magistrati per spiegare la natura dei suoi rapporti con l’imprenditore Anemone, compresa la cena dell’autunno di due anni fa. E l’agente dell’intelligence avrebbe anche premesso che il generale non avrebbe né stoppato né fatto insabbiare l’indagine fiscale avviata quella mattina dalla Finanza.
Di certo su quell’episodio i pm perugini, Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, vogliono fare chiarezza.
Accertate le eccellenti amicizie vantate da Anemone con la Finanza, intendono capire se le «entrature» nelle Fiamme gialle di Anemone hanno giocato un ruolo nel «misterioso» stop alle conseguenze di quel controllo fiscale. La Finanza arrivò a Zampolini e agli assegni circolari che avevano permesso di comprare le case all’ex ministro Scajola e a Pittorru, ma l’indagine, allora, non andò avanti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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