Generali deve obbedire: salvare il soldato Ligresti

A Milano le assicura­zioni sono messe male. La Fondiaria-Sai resta però uno dei big del settore: circa una polizza su quattro in Italia è targata Fonsai. E così Unicredit salva Fonsai diventandone azionista

Generali deve obbedire: 
salvare il soldato Ligresti

Uno dei manager più importanti delle Generali si è lasciato sfuggire la seguente battuta: «Non mi va giù che proprio i miei azioni­s­ti stiano salvando Li­gresti, il nostro con­corrente più pericolo­so». Roba grossa che val la pena di spie­gare per bene. Partiamo dal fondo e cioè dalla famiglia Ligresti. Anche i sassi di Milano ormai sanno che le loro assicura­zioni sono messe male. La Fondiaria-Sai resta però uno dei big del settore dan­ni: circa una polizza su quattro in Italia è targata Fonsai. Provvidenzialmente, ma poi vedremo che c’è anche una bella convenienza, Unicredit guidata oggi da Federico Ghizzoni, è venuta in soccor­so.

Ha messo in piedi un aumento di ca­pitale e alla fine della partita si porterà a casa, se tutto va bene, circa il 7 per cento di Fonsai; mentre oggi si è già conquista­ta con un suo uomo la guida generale del gruppo. Unicredit salva Ligresti, ma anche se stessa, come ci ha spiegato uno degli azionisti forti di Unicredit, quasi a giustificare l’intervento. Le holding, an­che quelle personali dell’ingegnere sici­liano, sono infatti debitrici di circa 340 milioni di euro proprio ad Unicredit: dunque se le assicurazioni saltano, si vo­latilizzano anche i crediti concessi dalla banca. Tutto chiaro e tutto filato. Unicre­dit, oltre a passare il tempo a salvare le assicurazioni italiane (e finalmente nel primo trimestre del 2011 a fare un po’ di quattrini anche nel Belpaese), è il primo azionista di Medio­banca. E con Fonsai fa bingo.

Al­la sua quota può aggiungere (non è ovviamente così sempli­ce e diretto) il 4 per cento che ha in pancia Fonsai. Mediobanca (sempre più controllata da Uni­credit) non è del tutto indiffe­rente alle sorti di Fonsai. Nell’ul­timo bilancio delle assicurazio­ni si legge chiaro e tondo il loro rapporto sotto la voce indebita­mento. Facciamola breve: la compagnia di Ligresti deve alla sola Piazzetta Cuccia circa 900 milioni di euro (quattro prestiti subordinati di lunga durata), su una capitalizzazione di Bor­sa che oggi viaggia intorno ai 600. Ricapitoliamo, altrimenti ri­schiamo il mal di testa. Unicre­dit salva Fonsai diventandone azionista.

E così mette in sicu­rezza anche il prestito da 900 milioni che la sua controllata Mediobanca aveva fatto a Fon­sai (prestito che giustamente il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel, continua a consi­derare a tutti gli effetti in bonis). Ma che c’entra in tutto questo calderone, il nostro bravo e im­portante manager delle Gene­rali? Semplice. Mediobanca (e Unicredit suo primo socio) con il 14 per cento è l’azionista forte della Generali. Dalle parti di Trieste pensa­no e sussurrano: è come se la Coca Cola salvasse la Pepsi. Quel 23 per cento di quota di mercato della Fonsai ingolosi­sce non poco Trieste. Ma tan­t’è. Ciò che sottintende questa operazione è ben più interes­sante delle tecnicalità del salva­taggio Fonsai. Sembra che il nocciolino forte del nostro sa­lotto buono si stia ricomponen­do intorno al suo cuore Unicre­dit­Mediobanca-Generali.

È naufragato il progetto di Cesa­re Geronzi, che da presidente di Generali, aveva l’ambizioso sogno di renderla sempre più autonoma da Mediobanca; ed è saltato con Alessandro Profu­mo lo sganciamento di Unicre­dit dai salotti buoni (e financo dal Corriere ). È ora che i mana­ger di Generali se ne facciano una ragione. E pensare che il nostro intercettato di fiducia, Luigi Bisignani, quando gli dis­sero che al vertice di Unicredit arrivava un tal Ghizzoni sbottò: «È roba da ridere;è una c...ta as­soluta. Ghizzoni a Unicredit e dall’altra parte ci sono Passera, Bazoli, Guzzetti». Come a dire: dove credono di andare? Que­sto ovviamente oggi non si può dire. Certo è che la lobby più im­portante della finanza italiana, quella che girava intorno a Enri­co Cuccia, certe cose non solo non le pronunciava al telefono, ma non osava neanche pensar­­le, per il timore che qualcuno potesse intercettare il pensiero. ps. Nell’ultimo consiglio di Rcs, Diego Della Valle, avrebbe ribadito la volontà di aumenta­re la sua quota.

Ma a chi gli obiettava che anche altri avreb­­bero voluto fare altrettanto, Del­la Valle avrebbe risposto: «Sì va bene, ma io lo faccio con i miei soldi, non con quelli delle ban­che e degli azionisti ». Pensava a Bazoli, che aveva anagrafica­mente accostato a Geronzi? Stesso copione si potrebbe ripe­tere nei prossimi giorni in Me­diobanca.

Dove mr Tod’s vor­rebbe salire, dove il manage­me­nt ha intenzione invece di ri­durre il peso del patto di sinda­cato, e dove l’altra parte della fi­nanza che conta ( Bazoli e Inte­sa) è sempre più preoccupata della rinnovata forza derivante dal patto di ferro Unicredit-Me­diobanca­Generali.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica