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Generazione call center alla riscossa

Al cinema e in politica le centraliniste, icone precariato, tornano alla ribalta. La Cassazione stabilisce: contratto da dipendenti

Generazione call center alla riscossa

Hanno diritto alle cuffie, con contratto. Drin drin, pronto, come posso esserle utile: è lavoro dipendente. Niente contratti a progetto, niente trucchetti. I precari per eccellenza, addetti e addette dei call center d’Italia, da ieri sono un po’ meno precari, per decisione della Cassazione. La corte, sezione lavoro, ha dato ragione a quindici centraliniste e respinto il ricorso della Solidea, società padovana con un call center nel settore pubblicitario: le lavoratrici utilizzavano le strutture e i materiali dell’azienda e quindi - dice la sentenza - non erano autonome, ma dipendenti, con diritto a un contratto di lavoro subordinato. Dovevano essere assunte.

Le quindici erano state scoperte durante un controllo degli ispettori del lavoro nel 1997. Allora la Solidea aveva provato a sostenere che le centraliniste fossero «autonome»: ma era stata condannata a pagare una multa, poi cancellata dai giudici padovani. In appello, però, i magistrati veneziani hanno di nuovo ribaltato la sentenza e confermato la multa, mezzo miliardo di vecchie lire da pagare all’Inps come contributi previdenziali. Ultima parola, ieri, quella della Cassazione: le quindici signore e signorine erano dipendenti vere, subordinate, «con mansione di telefoniste».

Il dipendente - dicono i giudici - è fatto da: un orario, che le centraliste erano tenute a rispettare; assenze, da giustificare; direttive di un capo, da rispettare; utilizzo di materiali e attrezzature della società. Cioè: c’erano regole precise su come rispondere alle chiamate, bisognava prendere nota del risultato e del numero di telefono, c’erano cuffie e cornette, computer e scrivanie, che non erano di proprietà delle quindici ex precarie. Perciò la cuffia, simbolo due volte: del lavoro e del diritto, un contratto regolare che ti tolga un po’ di instabilità. A tempo determinato, ma regolare. I giudici hanno fiutato l’aria: il call center è uno status, luogo della precarietà di una generazione, dell’ansia del futuro che attanaglia Marta, la protagonista di Tutta la vita davanti di Paolo Virzì. Anche Pappi Corsicato sta girando un film sul mondo delle telefoniste, pure Walter Veltroni aveva candidato una centralinista, in Sicilia. Alla Camera, però, Loredana Ilardi non ce l’ha fatta: in lista la palermitana era in posizione numero nove, troppo precaria per assicurarsi il posto fisso in Parlamento. Però i giudici hanno voluto darle una consolazione: lei, come le altre centraliniste d’Italia, ha diritto a essere assunta.

Al call center.

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