Un genitore dev’essere libero di spendere i propri soldi

I soldi, se sono spesi bene, rendono felici. Spendere bene, però, non è semplice, perché è una questione culturale. E, infatti, il Dottor Faust e Mefistofele ragionavano sul fatto che, se il denaro servisse soltanto per comperare delle cose, la società sarebbe rimasta alla forma dello scambio per baratto. I soldi, spiegava Goethe, hanno un valore innanzitutto simbolico: sono un modo per pensare, immaginare la vita, sono un’opportunità per aprire il presente al futuro.
La conclusione di questo ragionamento è che spendere il denaro può arricchire la nostra esperienza. Di qui il paradosso (che, appunto, si risolve con la cultura): quanto più si spende, tanto più ci si impoverisce, perché si esauriscono i soldi in tasca; ma quanto più si spende, tanto più ci si arricchisce perché si accumulano esperienze di vita.
A questa premessa, ne aggiungo un’altra per il nostro tema: non penso neppure per un istante che un genitore debba infischiarsene dei propri figli. Anche per quanto riguarda il loro benessere economico. Tuttavia neppure giusta (ecco l’insegnamento di Goethe con il suo Faust) l’idea che un padre guadagni, risparmi, accumuli per lasciare tutto il suo avere ai figli. Se quest’idea si realizzasse, ci troveremmo di fronte a un padre immalinconito e a dei figli viziati.
Dunque, per prima cosa, i soldi sono un’opportunità d’esperienza: un genitore non deve avere letto il Faust di Goethe per coinvolgere con intelligenza i propri figli e farli partecipare alle occasioni che offre il denaro ben speso, evitando, da un lato l’egoismo di goderseli per conto proprio, dall’altro l’ossessione del risparmio, giustificata dall’idea di lasciare tutto ai figli.
Ma troverei anche accettabile che un padre decidesse, per esempio, di fare un viaggio molto costoso da solo: se è affettuoso e attento all’educazione dei figli, non comunicherà loro le impressioni, le conoscenze, la gioia per quell’esperienza? Qualunque iniziativa di spesa fatta - per così dire - in solitudine si giustifica ampiamente se vengono trasmesse ai propri figli l’esperienza e la conoscenza raggiunte attraverso quella spesa. In fondo, il patrimonio che il genitore può lasciare in eredità non è soltanto il denaro o cose che hanno valore venale, ma anche il senso della vita che ha acquisito e che è stato in grado di comunicare.
Il secondo motivo per cui mi preoccuperebbe l’idea che un padre consideri doveroso risparmiare, accumulare e lasciare tutto ai figli è che questi crescerebbero senza la tensione e il desiderio di costruire una propria identità autonoma rispetto al padre. Se non ci si impegna a realizzare le proprie aspirazioni, si cresce fragili; se si cammina sulla strada della vita con la consapevolezza che il patrimonio paterno ha risolto tutti i propri problemi di esperienza e conoscenza, si è spesso persone vuote, senza carattere e senza identità: la propria immagine diventa la fotocopia sbiadita di quella del genitore.


Questo ovviamente non significa che un padre sia autorizzato a dimenticare l’aiuto economico che può invece facilitare la maturazione del figlio. Il papà deve restare un passo indietro rispetto al suo ragazzo: lasciare che insegua un suo sogno e aiutarlo a rialzarsi, quando cade.

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