Genova, altari e altarini di troppo

Caro Lussana, da «genovese» (come Lei d’adozione e parlo anche il dialetto!) ho gustato i suoni, odori, profumi e la cultura di Carloforte (e Calasetta) «le isole genovesi dell’isola sarda». Ma non è di questo che le parlo. Bensì di Carlo Giuliani, da Lei citato alla fine del suo bell’articolo, il giovane morto durante le manifestazioni contro il G8 tenutosi nel torrido luglio del 2001. L’ho conosciuto quel ragazzo, un paio di volte gli ho dato «qualche spicciolo» e la seconda volta, siccome mi aveva riconosciuto, abbiamo scambiato alcune parole. Mi disse, concitatamente, di chiamarsi Carlo e che i suoi genitori «non capivano un c. e questa era una società di m.» Al che gli chiesi: «E tu Carlo, chi sei tu?». Mi fissò e mi rispose calmo: «Uno incasinato». Ecco, vorrei ricordarle un particolare che nessun giornale neanche il vostro (nostro) ha mai rilevato con la dovuta considerazione. Nella famosa fotografia che immortala (è il caso dirlo) Carlo Giuliani, con il volto coperto da un passamontagna, nell’atto di lanciare un estintore contro, un giovane come lui, carabiniere, il Giuliani ha a mo’ di bracciale all’avambraccio destro un rotolo di nastro da imballaggio. Ebbene, «normalmente» quel nastro viene usato per fabbricare bombe. Bombe Molotov. Lanciate per bruciare vivi degli esseri umani. Per uccidere. Le chiedo, ma spesso lo chiedo a me stesso, nel nostro consorzio civile (senza virgolette) quale posto hanno la ragione di stato, l’ideologia, la fede (anche quella politica).

Insomma, la morte di quel ragazzo è un momento della nostra storia locale e nazionale che ha lasciato un segno, piccolo, ma come la goccia forma il mare un nostro singolo atto contribuisce a formare la nostra società. Infine Carlo Giuliani è una vittima? E chi sono i carnefici? E il libero arbitrio va considerato? E come, quando e perché? Il mio auspicio è di meditare e non creare altari(ni) se non nei luoghi deputati.

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