(...) Il giovane era rimasto ucciso da un colpo di pistola, sparato da un suo coetaneo carabiniere per legittima difesa dopo che era stato ripetutamente attaccato con il pericolo di finire ammazzato.
Devastazioni, saccheggi, roghi, violenze su cose e persone, preordinato terrorismo urbano, decine di migliaia di genovesi costretti a rimanere chiusi in casa, la città bruciata e distrutta dai no global con milioni di euro di danni. Passati 11 anni da quel tragico evento, dalle ferite subìte da Genova e soltanto dopo le condanne dei vertici della polizia per la Diaz, finalmente un uomo delle istituzioni e della sinistra trova il coraggio di ammettere la verità dei fatti: «Accanto a decine o centinaia di migliaia di no global pacifici, molti manifestanti vennero deliberatamente a Genova per devastare, saccheggiare e fare violenze. Si è trattato di episodi inaccettabili. Alcuni responsabili di quei reati sono stati condannati, ma tanti altri l'hanno fatta franca».
In altre parole, la procura genovese è riuscita a far condannare i poliziotti che avevano esagerato, ma incredibilmente non è stata in grado di identificare e perseguire anche tutti quei manifestanti che per primi cominciarono a commettere violenze e reati.
Inoltre, per la prima volta un sindaco di Genova evita il termine «black bloc» e non separa esplicitamente dal resto dei no global quelle centinaia di «figure» incappucciate, armate di molotov, maschere anti gas, pietre, bastoni e picconi, che bruciarono e sfasciarono tornando in mezzo a migliaia di altri manifestanti, che li appoggiarono o certamente mai li denunciarono. In sostanza, il primo cittadino spiega quello che i genovesi avevano vissuto e visto con i loro occhi: nel movimento dei no global accanto a tanti manifestanti pacifici, ce n'erano non pochi violenti.
Dall'altro lato, però, il marchese rosso se la prende pure con alcuni poliziotti: «Naturalmente, occorre condannare ogni forma di violenza, soprattutto quella degli agenti e funzionari che parteciparono ed organizzarono il blitz alla Diaz. Oltre alla vicinanza e all'affetto umano per due genitori che hanno perso un figlio e che conoscevo già prima del G8, per me essere qui in piazza Alimonda significa dire basta con la violenza. Per qualsivoglia motivo e da qualunque parte provenga. Nonostante le sentenze della Cassazione, Genova è stata ferita e quella ferita non si è ancora rimarginata del tutto. Quella sulla Diaz è stata importante perché ha dimostrato che le istituzioni possono giudicare le istituzioni ed essere a loro volta essere giudicate credibili e idonee di un vero Stato di diritto. Quella sui danni alla città è stata più scontata perché nessuno aveva mai messo in discussione l'oggettiva violenza sulle cose. Rimangono ancora aperte le questioni di Bolzaneto e come alcuni vertici istituzionali politici avessero potuto permettere tutte quelle violenze».
A chi invocava la sostituzione della toponomastica, indicando il pennarello che ieri ha cancellato Gaetano Alimonda per scrivere Carlo Giuliani, il sindaco ha replicato: «Non è quello che serve per ricordare il giovane genovese morto durante il G8».
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