Di ritorno da Beirut, Leone XIV ha "scommesso" sul ruolo di mediazione dell'Italia nel conflitto russo-ucraino ed ha anticipato che la Santa Sede è pronta ad incoraggiarlo. Sono parole che interessano doppiamente il cardinale Matteo Zuppi, sia nelle vesti di presidente dell'episcopato italiano che in quelle di inviato vaticano per la missione umanitaria in Ucraina. A differenza di quanto è stato scritto, nella Chiesa non esiste una linea Zuppi contrapposta a una linea Prevost. È quello che emerge da questa conversazione con il presidente della Cei.
Eminenza, tanti pensano che la Cei faccia opposizione al governo Meloni. È così?
"No, la Cei ha un ottimo rapporto col governo e su tanti dossier c'è una collaborazione, come deve essere sempre con qualsiasi inquilino a Palazzo Chigi. Un esempio su tanti: apprezziamo quanto è stato fatto in favore degli oratori che in un tessuto sociale così debole diventano importantissimi per la promozione umana e anche per l'evangelizzazione. E potremmo continuare su vari aspetti. Poi, certo, esistono temi su cui c'è più dialettica e noi, rivendicando la libertà della Chiesa ma sempre con grande rispetto istituzionale, ci permettiamo di esprimere preoccupazioni così come abbiamo fatto con tutti i governi precedenti".
Si riferisce alla questione migratoria?
"Sui migranti la Chiesa ripeterà sempre che bisogna salvare le vite, memore della legge del mare e delle parole di Francesco e di Leone XIV. La semplificazione del tutti dentro/tutti fuori non funziona. È chiaro che è un fenomeno epocale da disciplinare a livello europeo. Ne deriva il problema di preservare la dignità di chi arriva ma anche il bisogno di garantire la legalità per combattere l'illegalità e quello di aiutare chi vuole restare".
Quindi il concetto di fondo dell'"aiutiamoli a casa loro" non è poi sbagliato?
"È quello che la Cei fa stanziando 80 milioni di euro l'anno dai fondi dell'8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica per promuovere lo sviluppo integrale della persona e delle comunità nei Paesi poveri del mondo, valorizzando le iniziative delle Chiese locali. I progetti finanziati promuovono la formazione e lo sviluppo in diversi ambiti, tra cui l'alfabetizzazione e la scolarizzazione a tutti i livelli, la salute, la formazione professionale. Questo significa sostenere le persone lì dove si trovano, preservando il diritto a restare nella propria terra".
Il suo nome è stato annunciato nel programma di Atreju 25. Come nasce questa partecipazione?
"Sono stato invitato dal viceministro del Lavoro Maria Teresa Bellucci che ringrazio. Un invito è sempre segno di considerazione. Interverrò in un panel sul welfare, un tema che preoccupa tantissimo la Chiesa. Sarà l'occasione per presentare la dottrina sociale della Chiesa che sta tanto a cuore a Leone XIV".
Passiamo alla guerra in Ucraina: per Leone XIV l'Italia ha la capacità di essere intermediaria. Lei è d'accordo?
"L'Italia può avere un ruolo, certo. Tutti devono fare quello che possono in funzione della pace, anche l'Europa. E Leone XIV sta continuando lo sforzo di tutti i Papi da Benedetto XV in poi di porre fine a qualsiasi forma di conflitto".
A che punto è la sua missione umanitaria?
"Continua il lavoro per il ricongiungimento dei bambini ucraini con le loro famiglie, anche se con molta lentezza. Inoltre, c'è un impegno per lo scambio di prigionieri e per il ritorno dei civili. Da poco ho incontrato la vicepremier ucraina, Iryna Vereshchuk, che mi ha consegnato un'altra lista di scomparsi. La mia idea è quella di riuscire a visitare i campi di prigionia da una parte e dall'altra, anche per poter aiutare a migliorare le condizioni di vita dei prigionieri".
Le ha dato fastidio chi ha messo in contrapposizione la sua figura con quella di Leone XIV?
"Chi lo ha fatto non conosce né me né lui. E non conosce cos'è la Chiesa perché al Papa si obbedisce. Ci si confronta perché la collegialità e la comunione è sempre anche confronto ed è un bene che ci siano sensibilità diverse visto che nella Chiesa non vige il pensiero unico ma un unico Vangelo! L'unità la fa sempre il Papa. E io credo nella comunione, è un dono dello Spirito Santo".
Ad Assisi il Papa ha esortato i vescovi italiani ad intervenire nel dibattito pubblico. Una Chiesa "interventista" può aiutare a superare una certa tendenza alla separazione tra fede e impegno pubblico?
"Mi fa paura l'idea di una fede ridotta solo in sacrestia. Dobbiamo promuovere il dialogo tra fede e sfera sociale, intendendo con essa la politica, la cultura, la scienza. La storia ci ha aiutato a trovare questa via dialogante e dobbiamo difenderla per evitare semplificazioni e fondamentalismi".
A proposito di questo: rinunciare al presepe è laicità?
"È sempre la solita polemica sterile che ritorna ogni anno. Credo che su questo papa Francesco abbia risposto con una bellissima lettera, dedicata al presepe: ripartirei da quella. È una tentazione credere che per essere accoglienti serva svuotare il presepe, come se quell'identità si contrapponesse ad altre identità o significasse prevaricazione e mancanza di rispetto. Non è così!".
Noi abbiamo lanciato la campagna "Presepe Pride". Lei che è abituato a dialogare con non credenti e credenti di altre religioni ha mai ricevuto lamentele di chi si è offeso per la presenza di un presepe?
"Assolutamente no. Il presepe è per i cristiani la contemplazione della presenza di Dio nella vita, mentre per gli altri aiuta a fermarsi e a riflettere davanti all'umiltà della vita. Così come il crocifisso, è un segno di umanità anche per chi non crede. Certamente è espressione di un'identità, ma di un'identità che sa convivere con altre religioni e altre presenze. Non deve essere utilizzato come una clava, ma è parte della nostra tradizione e del nostro Paese. Io pochi giorni fa ho inaugurato insieme al sindaco di Bologna il presepe che da sempre viene allestito nel palazzo comunale".
Chi vuole toglierlo aiuta il dialogo con le altre religioni?
"Toglierlo è come buttare giù i campanili delle chiese: aiuta il dialogo? No! Così come l'identità non è messa in discussione dal dialogo, allo stesso
modo il dialogo ha bisogno di identità altrimenti diventa nebbia. Non bisogna scolorirsi per poter dialogare con gli altri. Anzi. Dobbiamo essere credenti e imparare a vivere insieme in un mondo plurale: fratelli tutti!".