Al ballottaggio solo Musso può giocare per il futuro

Al ballottaggio solo Musso può giocare per il futuro

(...) alle straordinarie vittorie delle regionali 2000 e delle politiche 2001 prima e 2008 poi.
Insomma, non è con i rancori e con il passato che si può costruire qualcosa. E quindi, senza citare il troppo citato montanelliano «Turiamoci il naso», io che al primo turno ho votato convintamente Pierluigi Vinai e credo sia stato davvero un ottimo candidato (a parte alcuni errori come un’eccessiva enfasi nel saluto finale, non in quello iniziale, sacrosanto, a Claudio Scajola al Ducale e l’affidare la propria campagna a un senatore savonese come Franco Orsi, che ha alcune capacità, ma certo non si può considerare come il migliore conoscitore della città di Genova, così come il presidente della Provincia di Savona Angelo Vaccarezza), altrettanto convintamente voterò Enrico Musso al ballottaggio. Senza turarmi nulla e nonostante le diversità fra me ed Enrico, che non ci siamo mai nascosti, anche in privato, anche litigando, discutendo fra persone distinte e a volte distanti, ma fra persone che ragionano con la loro testa e che stimano l’intelligenza reciproca. Almeno per me vale così.
Soprattutto - e ci torneremo nei prossimi giorni - credo che la partita non sia impossibile. E che, una volta che i partiti del centrosinistra hanno portato a casa i loro consiglieri comunali (con più punti percentuali per la coalizione rispetto a quelli del candidato sindaco), scatterà una sorta di «liberi tutti» che, soprattutto nei settori moderati e riformisti della coalizione, porterà a messi di voti per Musso di gente che al primo turno ha votato Doria. E poi cambierà completamente il corpo elettorale, con tanta gente che ha votato al primo turno che starà a casa, ma anche alcuni che hanno disertato ieri che stavolta voteranno per scampare il «pericolo Doria».
Detto questo, il vero dato politico che emerge dalle urne genovesi - più ancora del grande successo di Paolo Putti e delle sue Cinquestelle, risultato di cui bisogna avere grande rispetto e stima, senza liquidarlo con un’alzata di spalle e fa bene Beppe Grillo a dire «Continuate ad insultarmi, arriverò al cento per cento» - è il crollo del Pdl.
Non sconfitta, non calo, crollo. A un passo dall’estinzione. Il dato è nazionale, ovviamente. Ma a livello locale ha qualche aggravante: dai pullman arrivati da tutta la regione per seguire il comizio di Alfano, come se quello fosse stata la priorità della campagna elettorale; al tempo colpevolmente perso per correre dietro a candidati inesistenti, ultimo della serie un manager che vive a Milano e che avrebbe preso ancor meno voti; alla follia assoluta di aver pensato a guardarsi l’ombelico litigando sui congressi locali del Pdl, anzichè pensare alle elezioni per tempo, come se il problema centrale della città fosse stato quello di scegliere il coordinatore metropolitano del partito; al disimpegno netto di molti parlamentari e quadri dalla campagna elettorale; alla sufficienza nel prendere le critiche; all’incredibile autoreferenzialità di tanta parte della classe dirigente del partito tesa a preservare il proprio orticello, piuttosto che a farlo diventare una foresta elettorale.
Volete sapere quale sarà il risultato? Che questa classe dirigente verrà integralmente spazzata via. A furia di lottare per restringere il recinto e non fare entrare forze nuove, il recinto diventa inesistente. Con la speranza di salvarsi fondamentalmente per Roberto Cassinelli per il lavoro e la serietà e per Gigi Grillo per l’indubbia competenza tecnica nell’affrontare i problemi.
E così, alla fine, al Pdl, resta in mano solo il Tigullio, coltivato maniacalmente dal coordinatore Michele Scandroglio: i ballottaggi a Rapallo e a Chiavari, con Mentore Campodonico e Roberto Levaggi, diventano le partite della vita. Ma occorre fare attenzione perchè Giorgio Costa e soprattutto Vittorio Agostino non sono competitor «komunisti!», ma vanno a pescare pure loro nell’elettorato moderato e potrebbero prendere i voti del centrosinistra. Insomma, rispetto al resto d’Italia sembra di stare in paradiso. Ma l’allarme rosso dev’essere innescato.
E allora cosa resta al centrodestra e ai moderati? Tutte le critiche che ho fatto oggi, le avevo già fatte per tempo, quindi la coscienza ce l’ho assolutamente a posto. Ma è chiaro che la dissoluzione di quello che fu il popolo azzurro nasce dall’appoggio al governo Monti, esecutivo che è riuscito nella difficilissima impresa di lasciare quasi inalterate le spese e lo spread, ma colpendo in continuazione gli italiani, con inasprimenti fiscali e addirittura con l’aumento dei costi della politica: si pensi a tutti gli stipendi dei tecnici e dei «tecnici dei tecnici».
Non ha fallito Vinai che - ribadisco - ha fatto una straordinaria campagna elettorale ed è stata la vera sorpresa degli ultimi due mesi, con una forza che non va gettata alle ortiche, nè penso che eventuali primarie genovesi sarebbero servite a nulla. Basta vedere il risultato disastroso della Spezia dove pure le primarie si sono fatte e addirittura un candidato ha partecipato per poi correre da solo contro il resto del centrodestra.
Il problema è stato il Pdl: il dato dell’otto virgola qualcosa per cento è drammatico ed è surreale che non ci siano state già ieri dimissioni di massa. Ma il problema è che quel dato era ampiamente prevedibile partecipando agli incontri di Savignone, del teatro della Gioventù, di Alassio e della Spezia con gli amici del Giornale. Dove noi, i reietti, insieme a soli tre coraggiosi come Matteo Rosso, Marco Melgrati e Gianni Plinio, davamo voce agli elettori e alla loro rabbia contro Monti.

E i geni del Pdl «ufficiale» identificavano il nemico in noi e nel loro popolo e non in Monti.
Solo da lì, dai nostri incontri, dal popolo della libertà con la minuscola e senza virgolette, dal popolo del Giornale si può ripartire. Dalla base, azzerando l’altezza. E l’altezzosità.

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